Benché di solito rimane difficile vederla così, il cinema è un industria, e molto spesso l'obiettivo principale non è realizzare il miglior lavoro possibile in termini qualitativi ma molto più semplicemente adescare lo spettatore e convincerlo ad entrare in sala.
Sulla cresta dell’onda dell'enorme successo di “Twilight” allora il nome di Stephenie Meyer vale tanto oro quanto pesa, una garanzia per produttori e distributori. La sua penna ha fatto incassare milioni di dollari in tutto il mondo e credere che chiunque si sia fidato di un suo lavoro non ne prenda in considerazione anche un secondo è un pensiero troppo remoto da poter essere considerato seriamente. "The Host" allora è la risposta a questa analisi logica, il romanzo che la Meyer ha scritto dopo “Twilight” e che neppure tanto si discosta da quei stessi temi, abbondantemente trattati, analizzati e lavorati fino all'esasperazione.
Niente vampiri né licantropi stavolta ma alieni. Alieni che però non sono paragonabili a umanoidi ma analoghi a parassiti che abitano i corpi umani come fossero macchine, cancellando definitivamente (?) l'anima dei proprietari e diventandone quindi padroni assoluti (un po’ come faceva Baby in "Dragon Ball GT” e chissà se lo spunto sia o meno involontario). Sebbene questo complichi un tantino le cose, di certo non impedisce alla Meyer di imbastire una trama sentimentale-romantica preparatissima a ripercorrere largamente quella più storica di Edward e Bella, aggiungendo perfino quel terzo incomodo che, a conti fatti, trascina nella combinazione anche l'ombra del povero e sfortunato Jacob.
Eppure nonostante “The Host” non giunga mai a toccare i punti piacevoli e onesti del primo capitolo di "Twilight", nella sua forma a esposizione secca va a edificarsi un sostegno che lo lascia assorbire in maniera più asciutta e meno noiosa rispetto a quanto sapeva fare la precedente quadrilogia fantasy. E ciò non dipende affatto dal genere, qui leggermente mutato - ci troviamo nella fantascienza adesso - ma in gran parte perché si vanno ad evitare facilmente quei momenti interminabili in cui poco o nulla sembra muoversi in termini di azione sulla scena. Peccato quindi non essere stati bravi abbastanza da fuggire completamente dai tradizionali passaggi poco comprensibili, i dialoghi imbarazzanti e dalle scelte di sceneggiatura opinabili, bassi che in queste pellicole per teenager hanno sempre un sopravvento assicurato e appesantiscono stavolta un racconto che, forse, con un minimo di impegno a favore, poteva dare dei frutti decisamente maggiori e stimolanti.
Ma su un universo del genere a contare, infine, sono esclusivamente riflessioni di altro tipo, estemporanee, non certo quelle appena sviluppate. La battaglia tra chi sarà il lavoro migliore fra “The Host” è “Twilight” già impazza tra i fan, nonostante l'attrazione evidenziata attorno a Edward e Bella spunta ancora troppo lontana per replicarsi nella relazione meno passionale e più flebile tra Melanie e Jared.
Una cosa però è certa: che l'amore sia in grado di superare qualunque ostacolo (diversità tra razze, conflitti, scontri, ecc) Stephenie Meyer ce lo aveva già detto e fatto capire a dovere, perciò, se il messaggio che ha da dire ogni volta continua a rimanere solamente questo, pensiamo davvero sia il caso che si metta da parte e lasci il campo cinematografico a chi ha idee nuove. Dato che a noi le minestre riscaldate ci hanno stufato fin troppo.
Trailer:
Sulla cresta dell’onda dell'enorme successo di “Twilight” allora il nome di Stephenie Meyer vale tanto oro quanto pesa, una garanzia per produttori e distributori. La sua penna ha fatto incassare milioni di dollari in tutto il mondo e credere che chiunque si sia fidato di un suo lavoro non ne prenda in considerazione anche un secondo è un pensiero troppo remoto da poter essere considerato seriamente. "The Host" allora è la risposta a questa analisi logica, il romanzo che la Meyer ha scritto dopo “Twilight” e che neppure tanto si discosta da quei stessi temi, abbondantemente trattati, analizzati e lavorati fino all'esasperazione.
Niente vampiri né licantropi stavolta ma alieni. Alieni che però non sono paragonabili a umanoidi ma analoghi a parassiti che abitano i corpi umani come fossero macchine, cancellando definitivamente (?) l'anima dei proprietari e diventandone quindi padroni assoluti (un po’ come faceva Baby in "Dragon Ball GT” e chissà se lo spunto sia o meno involontario). Sebbene questo complichi un tantino le cose, di certo non impedisce alla Meyer di imbastire una trama sentimentale-romantica preparatissima a ripercorrere largamente quella più storica di Edward e Bella, aggiungendo perfino quel terzo incomodo che, a conti fatti, trascina nella combinazione anche l'ombra del povero e sfortunato Jacob.
Eppure nonostante “The Host” non giunga mai a toccare i punti piacevoli e onesti del primo capitolo di "Twilight", nella sua forma a esposizione secca va a edificarsi un sostegno che lo lascia assorbire in maniera più asciutta e meno noiosa rispetto a quanto sapeva fare la precedente quadrilogia fantasy. E ciò non dipende affatto dal genere, qui leggermente mutato - ci troviamo nella fantascienza adesso - ma in gran parte perché si vanno ad evitare facilmente quei momenti interminabili in cui poco o nulla sembra muoversi in termini di azione sulla scena. Peccato quindi non essere stati bravi abbastanza da fuggire completamente dai tradizionali passaggi poco comprensibili, i dialoghi imbarazzanti e dalle scelte di sceneggiatura opinabili, bassi che in queste pellicole per teenager hanno sempre un sopravvento assicurato e appesantiscono stavolta un racconto che, forse, con un minimo di impegno a favore, poteva dare dei frutti decisamente maggiori e stimolanti.
Ma su un universo del genere a contare, infine, sono esclusivamente riflessioni di altro tipo, estemporanee, non certo quelle appena sviluppate. La battaglia tra chi sarà il lavoro migliore fra “The Host” è “Twilight” già impazza tra i fan, nonostante l'attrazione evidenziata attorno a Edward e Bella spunta ancora troppo lontana per replicarsi nella relazione meno passionale e più flebile tra Melanie e Jared.
Una cosa però è certa: che l'amore sia in grado di superare qualunque ostacolo (diversità tra razze, conflitti, scontri, ecc) Stephenie Meyer ce lo aveva già detto e fatto capire a dovere, perciò, se il messaggio che ha da dire ogni volta continua a rimanere solamente questo, pensiamo davvero sia il caso che si metta da parte e lasci il campo cinematografico a chi ha idee nuove. Dato che a noi le minestre riscaldate ci hanno stufato fin troppo.
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