Effetti Collaterali - La Recensione

Affrontare tematiche sociali, crisi e comportamenti discutibili dell’americano medio piuttosto che della società americana è un po' la dolce piega presa dal cinema di Steven Soderbergh nell'ultima decade. Accantonato Ocean e la sua banda infatti il regista ha voluto prendere un percorso fatto di scelte oculate, meno commerciali, su cui sta imbastendo quello che da tempo ha ammesso essere il finale della sua carriera da cineasta.

Non ci stupiamo affatto allora se la sceneggiatura di "Effetti Collaterali", scritta da Scott Z. Burns, sia capitata proprio tra le sue mani, rispettando non solo quella divenuta oggi la sua poetica di regista ma rivelandosi pertinente persino con il vezzo di esplorare ogni volta un genere cinematografico differente dall'ultimo analizzato. Dal dramma muscoli e lustrini di “Magic Mike” segue perciò quello che è senz'altro un solido thriller dalla doppia personalità: la prima impegnata a denunciare - o se preferite a provocare - il sistema medico americano e la seconda convogliata a usufruire dei pregiati risvolti che una trama come questa, assai articolata e tortuosa, è generosa nel concedere.

Ecco quindi come attraverso l’inedita coppia formata da una strepitosa Rooney Mara e il versatile Channing Tatum entriamo spediti nel mondo della depressione comune, scoprendo, oltre ai suoi sintomi, quanto questa malattia si sia diffusa a vista d’occhio particolarmente negli Stati Uniti, tanto da essere diventata un potente business tra i suoi medici curanti. In America chi prende pillole è considerata persona che vuol star bene, da noi è una persona malata. E’ la risposta dello psichiatra Jude Law a chi gli domanda come mai lui, medico inglese, abbia scelto di esercitare la sua professione lontano dal paese natale. Ma "Effetti Collaterali", seppur vero che prenda la causa dell’abuso di psicofarmaci di petto per poi scuoterla ferocemente, è ancor più abile ad evitare di incaponirsi su di essa come unica meta, e quindi - nella sua seconda metà - compie la scelta ponderata e intelligentissima di sfruttare ogni elemento a suo favore per trasformarsi in un thriller medico e legale a tutti gli effetti, allestendo un omicidio a sorpresa che scatena un vortice di colpi di scena, intrighi e risvolti inaspettati ma architettati al millimetro e connessi a risultati discendenti da terapie mediche.

Assume valore smisurato perciò la sceneggiatura di Burns, rivelandosi ricca di sorprese e caricata allo stesso modo di una bomba ad orologeria: pronta ad esplodere al momento giusto e in maniera imprevedibile per causare danni intensi ed estesi. La pellicola giunge così a rasentare quasi la perfezione narrativa assoluta non permettendosi mai di affossare in un calo o una distrazione e dimostrandosi sicura di sé e cosciente delle enormi potenzialità a disposizione.

Soderbergh pertanto si ritrova alla guida di uno dei script di genere migliori realizzati negli ultimi anni, un trionfo di contenuti e rovesciamenti di prim'ordine con attimi che addirittura scendono persino nell'horror contemporaneo, scomodando e chiamando in causa - magari esagerando un pochino - quel che era stato il miglior cinema di un certo Alfred Hitchcock.
Impossibile, infine, non sottolineare la presenza scenica magnetica – e assente da parecchio tempo sullo schermo - di una elegante Catherine Zeta-Jones nelle vesti di psichiatra gelida e provocante. Un piacere aggiuntivo per gli occhi, sia degli uomini che delle donne.

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