L’Uomo d’Acciaio - La Recensione

Inutile negarlo, cominciavamo a chiedercelo in molti: dov’è finito Superman?
Arrivati al punto in cui al cinema i supereroi abbondano e addirittura si uniscono in team, era estraniante non vedere alcuna traccia del supereroe per eccellenza, colui che persino il maestro Quentin Tarantino considera filosoficamente il più interessante in assoluto. Impossibile doversi arrendere al fatto che il suo destino fosse quello di crollare fatalmente sotto l’effetto della celluloide, arma rivelatasi letalmente potente per lui tanto quanto l'intollerante kryptonite.

L'ultimo dei coraggiosi era stato Bryan Singer qualche anno fa, uno che coi supereroi aveva fatto intendere di saperci fare benissimo, eppure il suo “Superman Returns” si rivelò talmente un disastro da riuscire a spedire sia il nativo di krypton e sia la bravura di Singer stesso nei lunghissimi e terrificanti dimenticatoi di Hollywood. E’ servito il talento di Christopher Nolan per far capire che la risalita di un supereroe è missione possibile, è servita la sua trilogia di Batman e il suo interesse a riportare l’uomo d’acciaio nuovamente in piedi e in condizioni energiche. La collaborazione con Zack Snyder era quanto di più incomprensibile si potesse immaginare, due personalità diversissime, due registi con nulla in comune, tranne - a questo punto - la causa morale di restituire potere e attrazione a un personaggio ingiustamente maltrattato e abbandonato.

La sceneggiatura scritta dallo stesso Nolan e dal suo fedele collaboratore David S. Goyer pur di non fallire l’ultima occasione allora si prende la responsabilità di tradire il cinecomic: apre con un prologo ambientato su Krypton e ne racconta la distruzione, mentre Jor-El e Zod, a modo loro, tentano di evitare l’inevitabile. E’ la sequenza che imposta un conflitto destinato a ripercuotersi negli anni, è il momento in cui Kal-El viene spedito sulla terra e soprattutto è l'unico spicchio di pellicola in cui la narrazione mantiene una linearità che, per scelta, poi verrà trascurata. Con gli occhi puntati sulla vita terrestre di Kal-El infatti il montaggio comincia a vivere di singhiozzi, a saltare di palo in frasca, caratterizzando la storia e diventandone componente rischioso ma efficace. La confusione che (non) generano questi continui e insistenti rimbalzi affina meglio lo stato emotivo vissuto dal protagonista, ne risalta i momenti più importanti e lascia intendere senza alcun dubbio il peso di una diversità da nascondere e da trattenere di fronte a un mondo non ancora pronto per accettarlo.

La struttura emotiva di Clark Kent (interpretato da un ottimo Henry Cavill) riesce ad emergere così in maniera pulita e chiara: i conflitti interni del personaggio si lasciano intravedere anche solo dallo sguardo, e le espressioni del viso rivelano a colpo d’occhio le sue buone intenzioni miste alla paura di non essere accettato. Peccato allora che per aderire alla sua natura blockbusteriana “L’Uomo d’Acciaio” prima o poi debba sposare la causa della spettacolarità assoluta e tralasciare il modellamento di un personaggio straripante, fragile e sempre alla ricerca del suo posto nel mondo. La costruzione dell'invasione aliena che ci accompagna verso un finale scoppiettante e dal tasso altissimo di combattimenti e distruzione sembra più figlia della paura di fallire di nuovo che una necessità vera e propria.

Dalla fusione di Nolan-produttore e Snyder-regista ne deriva pertanto una pellicola dal DNA misto, che ricorda per alcuni versi la trilogia di Batman e per altri riferimenti - alcuni videoludici - il fantastico giocattolone di turno. Ciò non evita di strappare all'ibrida accoppiata il merito di aver realizzato un cinecomic vincente, per metà introspettivo e per metà epico e grandioso. “L’Uomo d’Acciaio” sa andare a toccare benissimo le corde emotive, sia con la sua composizione che coi suoi dialoghi, e sebbene nella sua piega finale si lasci un tantino andare sgretolandosi, è netto lo stupore di vedere finalmente Superman riuscire a volare al cinema come un proiettile, ostentando picchi da Dio (e non mancano i richiami a riguardo) a dei leggeri vuoti d’aria.

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