La Mafia Uccide Solo D'Estate - La Recensione

Il cinema italiano ha ancora speranza. E la speranza arriva dall'avanzamento del nuovo, da colui giudicato esordiente.
Più o meno però.

Perché Pif, all'anagrafe Pierfrancesco Diliberto, tanto nuovo e tanto esordiente non lo è davvero con un passato da protagonista a Le Iene di Mediaset e a Il Testimone su MTV, due tra i programmi più brillanti e seri ma allo stesso tempo ironici che il panorama televisivo italiano ha saputo offrirci negli ultimi anni. Ed è proprio da quella serietà miscelata a quella ironia infatti che "La Mafia Uccide Solo D'Estate" nasce, un opera prima intrisa di stile e connotati che il suo autore-giornalista ci ha insegnato a riconoscere, e composta sulla falsa riga di una struttura narrativa preesistente ma comunque tra le più rischiose e complicate in assoluto. Riesce laddove recentemente aveva fallito Giovanni Veronesi e dove aveva avuto successo in passato Robert Zemeckis, Pif, proponendo un prodotto romantico ma trascinando insieme ad esso l'avanzamento di eventi di cronaca reali che, in questo caso, riguardano da vicino non l'Italia intera ma la città di Palermo nel periodo tra gli anni '70 e gli anni '90.

Il titolo all'immaginazione del resto lascia ben poco, ed è un chiaro riferimento all'omertà e alla tendenza di ridurre all'estremo qualcosa di troppo scomodo e pericoloso. Allora, affiancandola in maniera non predominante ma intelligente all'innocente e dolcissima storia d'amore tra il protagonista Arturo e l'inarrivabile Flora, "La Mafia Uccide Solo D'Estate" scandisce eventi storici amari e durissimi costruendoci intorno una fiaba tenera e deliziosa, portata avanti tramite gli occhi e la crescita di un bambino che si trova a vivere all'interno di una società all'epoca, se vogliamo, piuttosto repressa e atipica. Eppure, tenendo vivo questo processo, il suo regista scherza, fa sorridere, senza assolutamente ostentare la minima intenzione a voler ridurre la gravità di ciò che denuncia; con lo sguardo ingenuo del suo alter ego - impersonato dal piccolo Alex Bisconti - Pif torna così bambino e trasmette il suo cristallino amarcord replicando atteggiamenti e reazioni di un popolo che il più possibile ha tentato, toccando l'esasperazione, di ignorare la presenza e l'afflizione di una realtà ingombrante ma effettiva, spaventato dalla morte e tendente a chiudere gli occhi componendo fantasie rassicuranti con la speranza che da un giorno all'altro gli sterili conforti politici e cittadini, pur non essendo fondati, divenissero improvvisamente verità. Con il paese sotto il governo Giulio Andreotti - assunto da Arturo come mito e mentore personale - la pellicola menziona quindi moltissimi degli episodi chiave complici del lento risveglio, tra cui l'ascesa di Cosa Nostra, l'omicidio del prefetto Dalla Chiesa, quello del giudice Chinnici, per poi raggiungere le morti determinanti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i cui funerali portarono alla famosa rivolta dei palermitani che santificò la ribellione di un popolo ormai stanco e volenteroso a reagire.

Commedia non deve essere per forza un sinonimo di leggerezza dunque, come ultimamente ci è stato voluto far credere. Un cinema italiano come quello modellato da Pif non solo fa bene a corpo e mente ma è persino esportabile ovunque con orgoglio e facilità.
Ridere, riflettere, emozionarsi e commuoversi, se non è cinema questo dobbiamo rivedere il concetto.

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