Giovanni Veronesi persevera e insiste nel voler arricchire il suo cinema con elementi meno effimeri ma che a lui proprio non appartengono, così, dopo aver analizzato banalmente e stereotipatamente gli italiani in “Italians”, combina la stessa identica operazione prendendo di mira non più solamente la popolazione ma l’intero paese Italia.
Simile come struttura al “Forrest Gump” di Robert Zemeckis, (e perdonate il confronto) “L’Ultima Ruota del Carro” racconta la vita dell’italiano medio Ernesto Marchetti, scandendola dagli anni ’70 fino ai giorni nostri, e, come fu per Tom Hanks in quel film, utilizza il personaggio di Elio Germano per riepilogare gli avvenimenti “più influenti” e i repentini cambiamenti storici di una nazione che, secondo Veronesi, in quarant’anni di crescita economica e politica non è mai riuscita a guarire da quelle che sono e sempre saranno le sue carenze genetiche. Allo stesso modo di come accadde proprio con “Italians” succede allora che i cliché maggiormente popolari e sfruttati finiscono per prendere il sopravvento su tutto il resto, annientando il coinvolgimento e ricordando subconsciamente al regista toscano quanto la sua operazione vada al di là delle corde e della capacita di esposizione che gli appartengono.
Quello di Giovanni Veronesi infatti è un cinema abituato a saziarsi di comicità e romanticismo, che non può assolutamente privarsi, ridurre, né tantomeno muoversi al di fuori di quei costituenti, e che quindi ogni qual volta si ostina a non voler calcolare la suddetta scientifica equazione si ritrova ad affogare su sé stesso, perdendo stupidamente orientamento e bussola. Non è un caso perciò che a risollevare leggermente le sorti della pellicola debba essere la sottotrama romantica costruita tra Elio Germano e Alessandra Mastronardi, la stessa messa perennemente in secondo piano ma che non appena gli viene concesso più spazio e ossigeno conferma la che la matematica non è un opinione e rimette in circolo la ruota di quel carro che faticava a girare e infastidiva a senza sosta i passeggeri.
E’ evidente che il colpo di qualche anno fa che Veronesi assestò con il primo capitolo di “Manuale d’Amore” fu esclusivamente da attribuire alla fortuna. Da quel lavoro, a parte gli altri capitoli inferiori, il regista non è stato più capace di stupire e nemmeno di confermare la parvenza di talento che gli era stata restituita. La caduta libera intrapresa lo ha portato ora ad un botto bello grosso, dove salvare qualcosa non solo è impossibile ma addirittura sconsigliabile.
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