The Wolf of Wall Street - La Recensione

Lo sguardo sulla finanza, sui broker, sulle politiche di Wall Street e su quanto queste siano responsabili della crisi economica, ormai consumata al cinema, non fanno parte delle motivazioni che hanno spinto Martin Scorsese ad interessarsi alla sceneggiatura scritta da Terence Winter. Non al cento per cento almeno. I centri nervosi che vuole andare a toccare "The Wolf of Wall Street" infatti sono quelli possenti circoscritti all'illegalità, agli eccessi e agli estremi perniciosi segretamente cercati dalla natura umana e già conosciuti e approfonditi nella filmografia del regista.

Perché in sostanza la pellicola di Martin Scorsese perlustra conflitti che avrebbe potuto risolvere in molto meno tempo rispetto alle mastodontiche tre ore pianificate, le catene da rompere non sono poi così intrecciate e, magari, qualche sforbiciata in più sarebbe stata davvero solo positiva. Invece il vecchio Martin fa di "The Wolf of Wall Street" un'assoluta droga, potente e pura, instancabile, che stimola gli appetiti e incanala lo spettatore nella lussuria umana attraverso un protagonista affamato di soldi e di potere, traslocato al lato oscuro da un'indimenticabile Satana-Matthew McConaughey e volenteroso di guadagnare e di spendere oltre qualsiasi limite conosciuto. Come una gigantesca botta di eroina quindi la pellicola sterza immediatamente in vena e fa pulsare i battiti, utilizzando una regia, un montaggio e un flusso narrativo di stampo muscolare, impennato e infaticabile, ci abbandona a braccio piegato e siringa inserita ad osservare gli eventi dell'enorme scalata al successo che il Jordan Belfort protagonista compie senza troppi sforzi per mezzo del suo grande talento diplomatico e di venditore, tenendo ben d'occhio i nostri impulsi e aumentando le dosi in caso di necessità.

Vigile, minuzioso ai dettagli, Scorsese trasforma allora il non avere fretta in caparbietà, è consapevole di saper gestire il tempo e di averne abbastanza a disposizione e, con grande scioltezza, fa in modo che la crescita della sua pellicola e l'entrata in scena dei personaggi a disposizione venga eseguita in maniera graduale e sensata, soprattutto pensata in forma tale da rifornire ossigeno nei momenti in cui il fiato comincia a farsi corto. Sfruttando le potenzialità di un personaggio non molto sfaccettato ma dalle infinite possibilità di giocare con le esuberanze come quello interpretato da Leonardo DiCaprio, la sceneggiatura di "The Wolf of Wall Street" si spacca dunque in piccole tappe dove in ognuna di esse è riposto un asso da impiegare nel corso della maratona, stendendo in questo modo una strategia che permette di apportare quel tipo di narrazione stratificata, arricchita ogni volta da elementi in grado di alterare ulteriormente il disequilibrio onnipresente.

Da eccellente venditore Scorsese temporeggia ed eccede nel mostrare esplicitamente perversioni, fame e sete dannata riposta nei luoghi più reconditi di ognuno di noi, così facendo ritarda flessioni che, come in ogni droga che si rispetti, arrivano ma facendosi percepire appena, e in maggioranza durante lo stadio di scarico, andando ad intaccare la porzione dedicata alla fase di risoluzione. Sesso, droga, denaro, "The Wolf Of Wall Street" straborda con loro da ogni lato per ribadire l'essenzialità di qualcosa che paradossalmente sa rendere più pacifici se limitata allo stretto indispensabile, allarga a macchia d'olio la sua relazione e, come il personaggio che racconta da vicino, riesce a farci comprare un prodotto dal valore molto vago al prezzo più esoso possibile. E la cosa interessante è che da parte nostra non solo non esiste alcuna esitazione a riguardo ma vorremmo persino avere la possibilità di poterne prendere ancora, ancora e ancora.
Fino a raggiungere una diavolo agognata overdose definitiva.

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