47 Ronin - La Recensione

Alzi la mano chi, dopo la trilogia di "Matrix", ricorda di aver visto Keanu Reeves al cinema.
Nessuno?!

Bè c'è poco da stupirsi allora se "47 Ronin" nasca innanzitutto dalla volontà dell'attore di rilanciarsi in un ambiente nel quale, per un lungo periodo, si è sentito giustamente assoluto protagonista. Terminata la collaborazione con i fratelli Wachowski però la musica è cambiata in fretta, la qualità dei progetti proposti è scesa e la sua carriera si è bruscamente arenata. Al di là delle cause quindi (non sappiamo se Reeves abbia voluto tentare volontariamente un tragitto particolarmente staccato da quello mainstream) è evidente che tornare a muoversi in un ambiente conosciuto fosse per Keanu la mossa migliore da fare, e che la pellicola di Carl Rinsch, incentrata su Samurai e arti marziali, non poteva che fare al caso suo.

La sceneggiatura di "47 Ronin" (firmata tra gli altri anche da Chris Morgan, autore degli ultimi "Fast & Furious") infatti è un miscuglio di generi lasciato aderire su un vastissimo sfondo epico/mitologico Giapponese, il quale, pur mantenendo tosto il respiro orientale, naturalmente si lascia andare volentieri, e spesso, a cambi e ad apnee di stampo prettamente americano. Così, oltre a narrare le sorti e l'avventura di un protagonista mezzosangue al servizio di Samurai per devozione, l'opera di Rinsch finisce per aver di mezzosangue anche comportamento, aspetto e battito, manipolando la propria marcia affinché la potenza da lei sprigionata arrivi senza spinte o aiuti artificiali oltre i limitati confini orientali. Eppure - sarà per via delle troppe mani inserite in fase di scrittura - "47 Ronin" per non rischiare di affossare dimentica di accelerare proprio laddove c'era sia strada che indicazioni per farlo, nega allo spettatore accelerazioni e momenti di vera o tangibile tensione per chiudersi in una prudenza - per certi versi intelligente, considerando il prodotto - che va a levigare eccessivamente i suoi lati fantasy e avventurosi in favore di (poca) azione, romanticismo e una particolare sobrietà che infine va ad incidere addirittura sul maestoso spettacolo promesso nella resa dei conti decisiva.

La regia disordinata di Rinsch, inizialmente chiamato solo ad eseguire il compitino, vacilla ogni qual volta c'è da infondere l'adrenalina necessaria, smette di indossare i panni assegnati dell'operaio invisibile e influisce abbastanza sulla visione da abbassare un risultato che, a dirla tutta, supera comunque, abbondantemente, le aspettative. Senza essere completamente cosciente delle proprie potenzialità tuttavia "47 Ronin" agguanta in pieno la sufficienza, soffre più del previsto ma, cosa importantissima, ripone, come da copione, Keanu Reeves nell'unica (forse) veste a cui è delegato e delegabile.

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