Dom Hemingway - La Recensione

Dom Hemingway è uno scassinatore. Il Re degli scassinatori. Capace di aprire qualsiasi tipo di cassaforte con le sue magiche dita ed il minimo sforzo. Ma Dom Hemingway è anche un uomo vanitoso, alcolizzato, esuberante e soprattutto un fedele scagnozzo che pur di non spifferare il nome del suo boss agli sbirri ha preferito pagare lui stesso gli effetti collaterali di un colpo riuscito a metà, scontando dodici anni di carcere.
Una volta uscito, tuttavia, la sola e unica cosa che sembra importare a Dom non è ricominciare a vivere la vita di prima e nemmeno costruirsene un'altra completamente nuova, ma bensì, recuperare velocemente tutto il tempo perduto.

Il regista statunitense Richard Shepard, servendosi di un Jude Law in partissima - incurante di essere spregevole tanto quanto sporco - racconta la lotta coi propri demoni di un criminale immaturo, messo alle strette e chiamato improvvisamente a mettere a fuoco le sue priorità. Avvia pertanto un esplorazione interessante quanto divertente, in cui il Dom del titolo cerca a tutti i costi di bruciare le tappe strafogandosi in passatempi e vizi che negli anni gli sono venuti a mancare (alcol, droga, sesso) mentre, allo stesso tempo, l'afflizione di un esame di coscienza compie il suo corso tra paure e sensi di colpa legati ad errori e ai trascurati affetti su cui ha avuto modo di riflettere e patire durante la carcerazione.
Perché nel voler essere scanzonato, ironico e beffardo nei confronti del suo protagonista "Dom Hemingway" in realtà cerca di spingere il suo pupillo allo stesso modo di come farebbe un Dio con il suo protetto, ovvero guidando un anima errante nella direzione che meglio servirebbe a curare e cicatrizzare le ferite profonde lasciate da una moglie amata, e consumata da una grave malattia, e da una figlia di cui si è perduto tutto il meglio, con cui adesso appare impossibile entrare in contatto.

L'acceleratore spinto da Law per pareggiare i conti secondo la personale matematica del suo personaggio si rivela perciò divinamente dannoso e fuori tempo massimo. I bisogni, le volontà, che erano di rilievo in passato, sebbene trattenute con forza, spingono per fuggire e migrare, lasciando spazio a qualcosa di diverso, all'altro, all'importante, all'imprescindibile. E se questo mutamento "Dom Hemingway" tende a mascherarlo sotto la copertura di monologhi volgari, gag, sfortune e colpi di coda umoristici, senza calcare troppo, è solamente per renderlo più fruibile e gradevole allo spettatore, che lo sostiene senza neppure accorgersene, pregno di tutta la sua quota e di tutto il suo peso.

Infatti giunto al limite dell'ostinazione e della testardaggine, il povero Dom è obbligato a fare i conti con la realtà. A rinunciare a quel tempo perduto, cambiato, che non può riprendere e a fare i conti con un mondo nuovo che forse non ha più tanto bisogno di lui come ricordava. Perciò l'utilità di una seconda chance, anziché andare sprecata inutilmente bruciando altro tempo, vien preservata e spesa nei confronti di chi, il bisogno di noi, lo ha sentito per tutta una vita, e continua a percepirlo nonostante il male provocato e nonostante il tempo.
Perché di sicuro, una delle poche possibilità che il tempo mai toglie è quella di riparare agli errori e di poter cambiare. Le cose come noi stessi. Se non interamente almeno in gran parte.

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