Fare meglio per "22 Jump Street" era alquanto improbabile, lo sapevano i registi Phil Lord e Chris Miller e lo sapevano anche Jonah Hill e Michael Bacall, le due menti che hanno contribuito a riscrivere la serie televisiva portandola al cinema. Nonostante ciò la volontà di fare un sequel c'era, se non altro per ricomporre quel gruppo di spostati che, senza dubbio, si era divertito parecchio insieme e che quindi avrebbe accettato qualsiasi pretesto pur di tornare a lavorare spalla a spalla.Così per trovare la chiave di sblocco che sembrava impossibile si è deciso di guardare all'indietro, al passato, non solo a "21 Jump Street", ma soprattutto ai successi inaspettati e ben gestiti di altre commedie dal destino simile, come ad esempio "Una Notte da Leoni".
Riproporre la stessa, identica formula dai risultati vincenti, caricandola ulteriormente fino all'eccesso, è stato il trucco che ha contribuito alla salvezza e alla fortuna di moltissimi franchise americani degli ultimi anni. Tuttavia - per quanto detto così potrebbe sembrare semplice - non è affatto un procedimento che va preso sotto gamba, poiché se a gestirlo non è presente una mente intelligente, e con il senso della misura, si rischia non solo di deludere gli affezionati ma di mandare l'intero progetto all'aria. Fortunatamente Hill e Bacall sprovveduti non sono, anzi, sanno muoversi agevolmente all'interno di queste conformazioni, e lo dimostra la loro intuizione di voler scrivere una sceneggiatura che sappia prendersi poco sul serio, e che faccia proprio della metodologia the same but bigger il suo sponsor ufficiale, inserendo addirittura nel copione la frase tormentone, affidata a turno agli attori principali: è uguale all'altra volta.
Solo che non è uguale all'altra volta (e viene detto anche questo), o meglio è molto simile ma per niente uguale all'altra volta. C'è la missione sotto copertura al college (l'altra volta era alle superiori), c'è il medesimo scopo: trovare chi ha sintetizzato una nuova droga dagli effetti incontrollabili e arrestarlo. Eppure l'approccio alla trama è più autoironico, libero, spesso improvvisato, e la voglia di scherzare coi stereotipi e con le citazioni è talmente grande da tramutarsi il più delle volte in punto di forza e stimolo alla risata (la scena del polpo in stile Alien ne è la prova). Il rapporto tra Channing Tatum e Jonah Hill, anche, è assai diverso, un livello oltre l'amicizia, volutamente costruito per essere un vero e proprio bromance, spassoso e irresistibile. I due protagonisti coltivano sapientemente l'alchimia incredibile mostrata nel capitolo precedente compiendo l'ennesimo passo in avanti che li porta a prendere le sembianze di due amanti in crisi, gelosi l'uno dell'altro ma contemporaneamente confusi sui motivi che li hanno spinti ad avvicinarsi tanto.
Proprio la scelta di far poggiare la pellicola sulle loro spalle ,allora, e di non puntare troppo quindi sulla (non) freschezza di una trama costruita sulla falsa riga di quella passata, favorisce la riuscita complessiva di un capitolo, se vogliamo, minore negli intenti ma ugualmente piacevole e impossibile da disprezzare.
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