Tartarughe Ninja - La Recensione

Le tartarughe mutanti, allevate e addestrate al ninjitsu da un saggio ratto e responsabili del successo planetario dei disegnatori Kevin Eastman e Peter Laird, i quali circa trent'anni fa riuscirono, non senza difficoltà, a pubblicare per la prima volta i loro fumetti, tornano al cinema per un quinto lungometraggio. Un reboot che passa per le grinfie di Michael Bay.

Il padre di "Transformers" tuttavia veste solo i panni del produttore, affidando la regia al semi-sconosciuto Jonathan Liebesman, cui spetta il compito di dirigere un blockbuster, sulla carta facilissimo e dal successo assicurato. Talmente assicurato che per lo script si punta a utilizzare materiale collaudato, contornato da ribaltamenti ancor più intuibili, convinti che l'immaginario dei quattro rettili che praticano arti marziali basti per sopperire alle mancanze e adempiere al compitino. Ha poca importanza quindi se la trama di uno scienziato che vuole a tutti i costi impossessarsi del sangue delle tartarughe per sintetizzarne virus e cura e poi arricchirsi infettando il pianeta, non sia il massimo dello sforzo celebrale degli sceneggiatori; così come si potrebbe passare sopra al cambiamento delle origini che vede non più responsabile del mutamento un liquame caduto erroneamente nelle fogne di New York ma bensì l'utilizzo di tartarughe domestiche (e di un topo) come cavie da parte del padre di April O'Neal, impegnato a sperimentare un progetto scientifico in seguito finito male.
Tutto sarebbe lecito, insomma, purché ponderato per infondere al franchise smalto e vigore.

Purtroppo però il disinteresse di Bay verso il cinema, che da anni molti sospettano, va a sposarsi perfettamente con la regia di un Liebesman inadeguato e con la mente decisamente fuori dal suo lavoro. La maniera con cui infatti "Tartarughe Ninja" si presenta al pubblico è la stessa di un prodotto girato e gestito da chi il cinema probabilmente non lo ha mai conosciuto né tantomeno tastato. Volendo anche passar sopra ad una prima parte fin troppo sostenuta e slamata, che per nulla fa il paio con una seconda fin troppo schizofrenica e agitata, non si può assolutamente lasciar correre sulla sbagliata costruzione delle inquadrature che, specie nelle scene d'azione, mette in evidenza una macchina presa mossa sempre freneticamente e posizionata in punti di vista meno opportuni, diventando involontariamente la vera protagonista della scena. Disturbando perennemente fluidità del racconto e concentrazione degli occhi, e provocando quindi allontanamento, all'opera di Liebesman non resta altro che togliere la maschera e finire soffocata dalle sue stesse negligenze, quelle di una storia che, fallito l'obiettivo di intrattenere, non sta in piedi e dei suoi personaggi che, in linea precisa con essa, dimostrano di essere incompleti di spessore nella loro pur accettabile costruzione tecnica.

Pur salvando le parti di Michelangelo, a cui per simpatia forse è stata restituita più cura, così come in queste pagine bollammo "Transformers 4: L'Era Dell'Estinzione", stessa sorte tocca a "Tartarughe Ninja": un film vuoto, che gonfia il petto facendosi forza del nome che porta scritto addosso, ma senza alcuna voglia di volerne omaggiare e né tantomeno onorare l'eredità. Il classico progetto di chi non ha cuore ma solo portafogli.  

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