Turner - La Recensione

Procede a raccontare lo scorrere del tempo Mike Leigh, e se in "Another Year" era solamente un anno scandito nelle quattro stagioni che lo compongono, in "Turner" gli anni sono venticinque, appartenenti all'ultima parte di vita del pittore britannico William Turner.

Tecnicamente infatti "Turner" è una biografia, una di quelle non totali, ma che si accontentano di portare a galla solo un determinato pezzo del personaggio di cui si occupano. Leigh di William Turner vuole farci assaporare il lato più triste, ma forse quello più corposo, dove l'artista è costretto a fare i conti con la scomparsa prematura del proprio padre, figura di riferimento, e continuare la sua vita in perenne solitudine con la sola compagnia di una governante, che ogni tanto non disdegna di soddisfare i suoi istinti sessuali, e la gentile e amorevole signora Booth, a conti fatti, sua vera e stabile fiamma. La modalità di esposizione quindi resta fedele alla precedente, ovvero piatta e negata a qualunque picco che possa rinvigorire l'andamento di una trama praticamente assente, quasi a mantener fedele un approccio simile alla vita e ai cambiamenti impercettibili che essa distende con pazienza. Del resto "Turner" è un film innanzitutto denso, che punta a impressionare gli spettatori attraverso gli ambienti (molti interni), i colori e le immagini, scaldando la visione con una fotografia e una scenografia assai simili a quei dipinti che il suo artista compone quasi d'istinto, con quella facilità, libertà e ossessione miracolosamente straordinarie.

Così, insieme a Turner, Leigh viaggia. Viaggia indietro nel tempo per poi tornare un pezzo in avanti, espone la vita è vero, ma anche i cambiamenti epocali che hanno modificato e riprogrammato sia l'arte che il suo sguardo. Chiude ovviamente con la morte il rapporto col suo protagonista, ma non prima di essersi tolto il gusto di montare una delle migliori scene in assoluto (l'altra è quella del bordello) mettendo il suo gigantesco interprete Timothy Spall a contatto con l'invenzione della fotografia, il marchingegno infernale che più avanti amplierà il significato di artista, riscrivendo persino quello di pittura.

C'è però dell'altro dietro la pellicola di Mike Leigh, una pesantezza che forse oltre il dovuto schiaccia quanto di positivo espresso fino ad ora. Sicuramente la durata di circa centocinquanta minuti non è di grande aiuto al regista, né tantomeno al sistema di narrazione scelto, e magari qualche sforbiciata qua e la avrebbe potuto aiutare a rendere l'operazione decisamente più fruibile da vari punti di vista. Eppure la sensazione maggiore è che l'argomento in questione coinvolgesse l'anima di Leigh meno rispetto al dovuto, come se la storia che avesse deciso di raccontare non si sposasse poi benissimo con le sue caratteristiche.
Ciò che è innegabile tuttavia è l'interpretazione di un Timothy Spall totale, che a ogni grugnito del suo personaggio riesce a far uscire sottotesti di dissenso più chiari di un concetto espresso a parole. Il suo è un William Turner incredibile, ripugnante e amato, arrogante e dolce, e indubbiamente il motivo migliore per assaporare una pellicola astrusa quanto delicata.

Trailer:

Commenti

  1. Uno dei film più pesanti e noiosi mai visti.
    Io avrei dato una sforbiciata di due ore e mezza. :)

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