Calvario - La Recensione

I pregi di un'opera prima come "The Guard" tornano più coscienti e prepotenti in un secondo lavoro che è la consacrazione di un regista intelligente, sveglio e assai sensibile alla realtà e ai personaggi.
Se generalmente squadra che vince non si cambia, al cinema la cosa vale di sicuro per gli attori protagonisti, un Brendan Gleeson a cui John Michael McDonagh non rinuncia affatto, concedendogli, se vogliamo uno spazio maggiormente consolidato, necessario a delineare la figura rara, magari inesistente, di un prete moderno in lotta contro l'umanità, ma anche contro il suo mondo (quello ecclesiastico): ultimamente infangato da notizie di cronaca poco rassicuranti e abitato da polsi decisamente più deboli rispetto al passato e alle condizioni richieste.

La chiesa non è più quella di una volta, insomma, e non lo sono nemmeno i preti e né tantomeno i credenti, quelli che comunque l'ostia la domenica la vogliono prendere e alla messa scelgono di partecipare, tuttavia però, fuori dal luogo sacro non ne vogliono sapere di mettere in ordine la loro vita, perseverando quindi nel disordine e nella sofferenza. Dietro alla settimana di risposte e conti in sospeso del prete interpretato da Gleeson - minacciato di morte in confessione per una vendetta non dedicata a lui, ma disperata - c'è allora da parte di McDonagh una ricerca antropologica su quella che è divenuta la condizione umana da quando il cinismo e l'assoluta libertà mentale ha preso il sopravvento e mischiato le carte. Il suo sguardo va a cercare vite di uomini (e donne) alla continua ricerca del peccato e del masochismo, un tipo di peccato però non dannoso solamente ai dettami della chiesa, quelli che alla fine potrebbero essere ignorati e reputati come male minore, ma dannoso soprattutto per la vita di chi lo commette e di chi lo circonda. Uno tsunami di proporzioni cosmiche, scagliatosi all'improvviso per complicare violentemente le cose e rompere tacite regole, che anziché aprire orizzonti o liberare anime, trascinano piuttosto nell'ombra e inchiodano all'inferno, vittime che non sanno più come mettersi in salvo o dare uno scopo alla loro esistenza.

E' una pellicola piena di simboli e significati "Calvario", con dialoghi da comprendere a più strati e uno humour nero da godere fino in fondo che sa come pizzicare lo spettatore e stimolarlo. Soprattutto però quello di McDonagh è un lavoro che non ha la minima intenzione di schierarsi nei confronti di quello che è un'argomento delicato e soggettivo, su cui andare a manovrare l'ago della bilancia poteva essere azione nociva in ogni senso. Il suo fiuto quindi lo porta solo a guardarsi intorno, a spiare quelli che sono possibili curve di un mondo esistente e all'opera, servendosi di una figura fin troppo umana disposta addirittura per un'attimo, e solo con uno sguardo, a mettere in dubbio sé stesso e il suo mestiere.
E' evidente, dunque, che la componente thriller attorcigliata ad un futuro assassino, che la vittima già conosce, a noi spettatori interessa relativamente poco, calpestato e dimenticato nella lunga e travagliata marcia di questo protagonista disperato che prova a spegnere il fuoco appiccato su quella chiesa, attaccata e criticabile fino alle radici, ma oratrice di alcune regole forse necessarie per salvare le sorti di una razza altrimenti in crisi e per lo più incapace di assumersi valori morali.

Profondo e concentrato McDonagh prende la sua pellicola a cuore come a mente, non concedendosi mai alla distrazione e trasferendosi a livello di identità e di spirito nelle considerazioni negative (ma mai prive di speranza) del suo prete, così pieno di spigoli, di peccati, dolori e cicatrici da apparire il primo degli esseri umani.
Il primo dei peccatori, ma l'ultimo dei pentiti, capace ancora quindi di perdonare e di perdonarsi piuttosto che procedere il cammino verso quell'autodistruzione lontana dal bene e da qualunque Dio.
Verso quella che probabilmente è l'unica salvezza per noi opzionabile.

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