Mission: Impossible | Rogue Nation - La Recensione

C'è un principio di continuità in Mission: Impossible da un po' di tempo a questa parte, un filo teso, probabilmente da J.J. Abrams (dopo la sua entrata alla Paramount), che non ha solo il compito di mantenere costante una qualità di visione e di azione, ma anche quello di non smettere il tracciato di una linea seriale che dal terzo episodio a questo quinto risulta assai retta e definita.

Hanno trovato una loro quadratura, diciamo, Tom Cruise e la sua banda, una scaletta non rigidissima, ma fondamentale, che gli permette di agire e di osare, restando in vetta e riducendo i rischi al minimo sindacale. Quella soglia, purtroppo, che il regista Christopher McQuarrie, subentrato alla regia, sfiora se non tocca addirittura, attraverso una sceneggiatura - scritta sempre da lui - che non è esattamente esente né da strappi e né da nodi. Non ha infatti un villain all'altezza di Philip Seymour Hoffman, "Mission: Impossible | Rogue Nation", né tantomeno l'azione spettacolare e solida elargita da Brad Bird nel capitolo precedente. E' più un thriller elaborato (eccessivamente) in cui il protocollo fantasma accarezzato in passato viene estremizzato al massimo, eliminando definitivamente la struttura dell'IMF e lasciando, di fatto, Ethan Hunt e la sua squadra a tre uniche possibilità: venire inglobati dalla concorrente CIA, dimettersi o, peggio ancora, rifiutare di condividere informazioni e altro diventando automaticamente dei ricercati (e quest'ultima, neanche a dirlo, sarà la scelta di Cruise). Corto circuito la cui colpa deriva indirettamente da una nuova organizzazione, Il Sindacato, formata da agenti speciali, morti o presunti tali, di competenze pari a quelli dell'IMF, incaricati però di generare scompiglio e scontri altamente diplomatici.

Prosecuzione ponderata e convincente, che tuttavia McQuarrie insabbia e incrocia servendosi di sovrabbondanti strati narrativi e rinunciando al piacere esilarante ed elettrizzante di far muovere Hunt e i suoi uomini, insieme, con operazioni scenografiche e mirabolanti: degne, per intenderci, dell'esplosione del Cremlino o dell'intrusione in Vaticano. L'apertura in aereo è un buon antipasto, per carità, e la corsa in moto un po' più avanti vale da sola il prezzo del biglietto, ma non sono sufficienti ad evitare quei momenti di stanca - inaccettabili in un franchise come questo - che invece abbracciano a tratti lo spettatore e strattonano la pellicola a fasi alterne.
Va detto, a rigor di cronaca, che nonostante ciò la regia, in generale, esegue egregiamente il suo mestiere, con un McQuarrie che forse per la prima volta nella sua carriera, prova a liberarsi dei soliti panni e a far valere la propria personalità: chiaramente per ovvi motivi ancora un tantino grezza, ma non per questo da scartare a pié pari o da riportare ai margini.

Con qualche rischio in più, dunque, e una manciata di punti in meno, "Mission: Impossible | Rogue Nation" si accaparra comunque la sua agognata promozione. Sarà per via della bellissima Rebecca Ferguson, probabilmente nota maggiormente positiva di questo quinto capitolo, oppure perché si fida a lasciare più spazio, ma soprattutto più ironia a Simon Pegg, o magari centra la furbizia con cui va a seminare l'ulteriore perdita (tenue) di qualche colpo da parte della sua star principale, chi lo sa. Il fatto è che di fronte a un frachise granitico come questo, rinforzato ultimamente, qualsiasi crepa - intravedibile così come aggiustabile - non sarà mai abbastanza per compromettere l'intero sistema.

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