Il Piccolo Principe - La Recensione

Consapevole di non poterla affrontare a viso aperto, di non poter partire dal cuore del libro di Antoine de Saint-Exupéry, adattandolo per filo e per segno come ci si potrebbe attendere dal titolo, il regista Mark Osborne opta per una soluzione maggiormente sicura e più efficace, a dirla tutta: servendosi del racconto de "Il Piccolo Principe" come piano di salvataggio per una ragazzina investita dalle aspirazioni della propria madre, che vorrebbe per lei il più brillante futuro possibile non curandosi del suo spirito infantile martoriato e annullato.

Crea una connessione artificiale tra le due storie, la pellicola, con il laccio determinante rappresentato dal vecchio e strambo, nuovo vicino della protagonista, che veste i panni dell'aviatore che, anni prima, si era imbattuto in quel Piccolo Principe che lo aveva avvicinato, addomesticato e, infine, instradato verso una consapevolezza così semplice e preziosa da meritare seguito su carta attraverso disegni e parole. Meglio appuntarsele certe cose, del resto, considerando che dopo una certa età, si tende a dimenticare quanto l'essenziale sia invisibile agli occhi, specialmente in un mondo come questo in cui non si fa altro che andare a mille all'ora, abbracciando a 360° la favola del capitalismo e del materialismo e dove i veleni di contaminazione sono talmente potenti da mettere in crisi persino quel sano Principe di cui sopra, compromettendone, magari, ricordi e ideali. Fa leva moltissimo su questo piano di realtà infatti Osborne, sui principi attivi più nutrienti di un classico da rimaneggiare e glorificare sul grande schermo in una forma completamente nuova, che sia in grado di trattenere la potenza ed insieme dar vita a qualcosa di sbalorditivo e di originale.

Tentativo che però a "Il Piccolo Principe" viene bene solamente in parte, quella nello specifico dedicata alla stesura di una sceneggiatura articolata e a un'animazione addestrata per darsi il cambio dal digitale allo stop-motion senza sembrare mai né stonata né disomogenea nel complesso. A mancare all'appello tuttavia sono le materie prime sostanziali, quelle emozioni che da un lavoro del genere, sia per chi conosce il materiale di partenza, sia per chi ci entra in contatto per la prima volta, devono farsi motore e marchio di riconoscimento, ma che al contrario non si esibiscono all'appello, tranne che per degli accenni tiepidissimi e lievi. La pellicola di Osborne mantiene allora solo lo stampo del romanzo di formazione che doveva essere, accarezzando tematiche come la perdita, l'amore e l'importanza dell'essere bambini e tralasciando quel cuore pulsante, nodale, a cui non va a sostituirsi neppure l'abilità del mestiere, conservando pertanto, quasi per tutta la sua durata complessiva, la stessa freddezza della fotografia che utilizza per inquadrare la negativa piega d'apertura.

Finisce per soddisfare quindi solo parzialmente questo Piccolo Principe cinematografico, riaccendendo i ricordi di coloro che si erano lasciati incantare dal libro e stimolando l'altra minoranza a prendere in considerazione l'idea di colmare una possibile mancanza letteraria. Una di quelle che nemmeno il cinema, a quanto pare, può riuscire a compensare adeguatamente, nemmeno in piccola parte. Nemmeno con la giusta dose di creatività e di libertà a far da padrone.

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