Truman - La Recensione

Truman è il cane anzianotto che Ricardo Darin sta cercando, a malincuore, di dare in affido prima che possa smettere di prendersene cura. Presto, infatti, il cancro ai polmoni, progredito in tutto il suo corpo, gli consentirà a malapena di badare a sé stesso, senza poter contare neppure sul supporto dei medici con i quali ha scelto di chiudere ogni ponte, vivendo gli ultimi mesi che gli rimangono lontano dagli ospedali. Niente cure, insomma, sia quel che sia. Neppure il suo migliore amico, Javier Camara, può farci nulla, tornato apposta a Madrid dal Canada - luogo in cui vive - per farlo ragionare, sperando che i quattro giorni a sua disposizione siano sufficienti perlomeno a riallacciare quel rapporto fraterno, colpevolmente trascurato, che per un lungo periodo li aveva contraddistinti.

E' una pellicola che gioca a carte scoperte "Truman", che non ha colpi di scena o capovolgimenti di fronte, una pellicola in cui tutto quanto è messo li, a nudo, lontano da possibili situazioni che potrebbero cambiarne le sorti o nuovi elementi utili ad architettare un qualunque passo all'indietro. Non ci sono artifici, insomma, sotto la manica del regista e sceneggiatore Cesc Gay, anzi, a dirla tutta non c'è proprio nessuna manica, visto che per raccontare in maniera intensa i rapporti umani ed il loro valore, l'unico modo è quello di riuscire a togliere il più possibile, liberandosi del peso del futile con cui, spesso, per non creare danni, si cerca di privilegiare educazione e forma a quelli che sono i veri sentimenti e coscienza. Che poi, ad essere onesti, per comunicare chiaro ciò che realmente proviamo dentro non servono neanche troppe parole, magari meno possibili, meglio se semplici, perché poi al resto ci pensano i gesti, le emozioni, il linguaggio del corpo. E allora se "Truman" scava affondo e riesce a toccare con delicatezza alcune delle nostre corde più nascoste, risolvendo quelli che sono gli enormi sospesi seminati lungo il tragitto del suo protagonista, il merito è proprio della capacità che ha nel saper dire ciò che vuole in silenzio, nel trasmettere allo spettatore il lampo di un brivido o di una lacrima senza perdersi troppo in chiacchiere, ma limitandosi a un inquadratura, una smorfia, o un abbraccio nel quale il contenuto è fin troppo forte e chiaro per non giungere diretto ai destinatari.

Certo, avere a disposizione due giganti d'attore come Darin e Camara - fenomenali a lavorare in sottrazione - oltre ad essere una fortuna, serve anche a far sembrare più semplice quel che a conti fatti era una missione piuttosto ardua e pericolosa. Trattare con sensibilità estrema un argomento largamente vasto come il rapporto umano e, più a fondo, quello d'amicizia era, per certi versi, come camminare su di un filo finissimo, sospesi a mezz'aria e in alta quota, un filo su cui però i due attori sembrano stare più comodi di quanto gli capiti in terra ferma e che il regista spagnolo, dal canto suo, riesce a controllare a dovere, rendendo l'effetto, a pelle, assai meno pericoloso e precario. Oscillare tra dramma e commedia per Gay, comunque, è tutt'altro che una novità, piuttosto un'abilità che fa parte del suo bagaglio tecnico e che aveva messo in mostra già nel precedente "Una Pistola En Cada Mano": lavoro in cui andava a scavare con lo stesso tocco, forse, un tantino più ironicamente, sugli uomini e il loro comportamento universale.

Del resto, che si voglia o meno, cercare risposte, analizzarsi e giungere a conclusioni sono movimenti che l'essere umano compie, a prescindere dalle sue volontà, e il cinema di Gay su questo impeto ha deciso di fondarsi, innalzarsi e scuotersi. Scuotendo noi insieme a lui con storie leali, umane e che sanno perfettamente come far breccia nel nostro cuore, lasciandoci sempre con un sorriso sulle labbra e gli occhi umidi di commozione.

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