Zona D'Ombra - La Recensione

Nel 2002 il neuropatologo forense, Dottor Bennet Omalu, tramite l'autopsia effettuata sul cadavere dell'ex giocatore di football Mike Webster, intraprende un indagine, colma di riscontri, sui danni cerebrali traumatici e cronici provocati dal football praticato a livello agonistico. Le sue ricerche, da lì approfondite e dettagliate (in cui figurano anche altri ex-giocatori morti sempre in strane circostanze), vengono però contestate e screditate dalla National Football League, che per proteggere il suo potente impero economico infanga Omalu con tutti i mezzi, leciti o meno, a disposizione. Nel 2009, tuttavia, sulla rivista GQ, la giornalista Jeanne Marie Laskas pubblica un articolo intitolato Game Brain, in cui denuncia le scoperte di Omalu e l'irresponsabile prepotenza della NFL nei suoi confronti, raccontando pubblicamente la questione e preparando il terreno per un libro vero e proprio, pubblicato nel 2015 con il titolo Concussion.

Da quel libro nasce lo spunto del regista e sceneggiatore Peter Landesman di allestire un thriller-politico sulla compagnia privata dell'NFL e sulla sua influenza all'interno del sistema, operazione, per certi versi simile, a quella compiuta da Michael Mann quando si servì dello scandalo relativo ai produttori di tabacco e alle loro manipolazioni per "Insider: Dietro La Verità". In "Zona D'Ombra" però il tentativo non è tanto quello di andare ad ampliare la voce sulla questione del football che nuoce gravemente alla salute dei suoi giocatori, quanto di dissacrare, come se ancora ce ne fosse bisogno, il paese America e l'apparenza paradisiaca che lo precede. Ciò che infatti assume maggior risonanza nella pellicola di Landesman è la delusione del Dottor Omalu - impersonato da Will Smith - nel momento in cui si rende conto che quel sogno a stelle e strisce in cui credeva fermamente, e per cui lottava, da immigrato, non è esattamente così dorato e lucido come poteva sembrare dal di fuori. Parliamo di un uomo che come primo consiglio, alla coinquilina un po' spaesata e stordita che gli piomba in casa, dice di tirare fuori la miglior versione di sé stessa, o di trovarsi velocemente un buon modello da imitare, perché è questo che in America bisogna fare. Che, poi, è un po' lo stesso ragionamento con cui giustifica il possesso di una televisione quasi inutilizzata.

Battute da cui è possibile evincere quanto, in termini di scrittura, (ma anche in termini di regia) il lavoro di Landesman non sia neppure paragonabile a quello di Mann, soffrendo anzi di composizione e di precisione e scadendo puntualmente nel ridicolo ogni qual volta decida di riprendere le redini della sua traccia romantica/amorosa: probabilmente vertice massimo di grossolanità. L'aggrapparsi al dibattito obsoleto e consumato di un America marcia e avida, peraltro, non paga affatto meglio dell'altra possibilità, quella dove ci si poteva concentrare sull'intrigo di cui Omalu è vittima e sugli echi da esso derivanti. Fermo restando, infine, che caratterizzare il personaggio di Smith come una sorta di alieno (sia nel linguaggio che nei comportamenti), esaltando la sua estraneità al contesto in cui cerca di adattarsi e di capire, non avrebbe aiutato comunque, a prescindere dalle direzioni che si sarebbero potute prendere.

C'era da metterci ancora mano, quindi, ma in "Zona D'Ombra" gli ingredienti per emergere con validità erano presenti, e si poteva sicuramente aspirare a qualcosa di molto più alto del traguardo raggiunto. Un traguardo che, per un istante, da addirittura l'impressione di volersi porre in maniera dura e tosta nei confronti del paese che prende di mira, ma che, alla fine, opta per la classica testata doppia, al cerchio e alla botte, che non provoca né vittime e né feriti.

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