Whiskey, Tango, Foxtrot. Tre parole che non hanno nessun collegamento con il film di Glenn Ficarra e John Requa, perché sono la risoluzione (volontariamente) sbagliata dell'assai noto acronimo WTF che, al contrario, se identificato correttamente invece, va a condividere molto con l'adattamento cinematografico del romanzo scritto dalla giornalista americana Kim Baker dal titolo The Taliban Shuffle: Strange Days In Afghanistan And Pakistan.
Quel "What The Fuck!" (per i meno informati: Ma che cazzo!) è un esclamazione infatti che la Baker di Tina Fey, dentro di sé, avrà ripetuto in loop fino alla nausea, a cominciare dal giorno in cui, impugnando come motivazione il suo stato di single senza figli, la redazione per cui lavora decide di selezionarla per andare a fare la reporter di guerra nell'Afghanistan post-Undici-Settembre, scombussolandole routine e vita sentimentale. Giunta a Kabul, va da sé, la sua situazione non migliora di un millimetro, anzi, truppe americane a parte (che pure non la regalano), si rende conto che l'essere giornalista donna, per giunta d'assalto, in un paese di stampo maschilista, è un mestiere ancor più proibitivo e pericoloso, dove stare al passo equivale un po' come a scegliere di entrare nel pericoloso tunnel della droga, precludendosi qualunque via d'uscita. Perché buttarsi a capofitto in una sparatoria, riprendere integralmente la scena e, infine, scoprirsi ancora viva, incolume, è un esperienza adrenalinica micidiale, della quale si rischia di rimanere schiavi e di andare a ricercarne, in seguito, stesse sensazioni, alzando magari persino l'asticella di rischio. Un gioco d'azzardo che poco si allontana dalla roulette russa de "Il Cacciatore", se non fosse per la sostanziale differenza che a rischiare la vita, in un contesto così, oltre te, ci sono collaboratori e impiegati disparati, costretti a starti dietro e di cui non tener conto è segnale di egoismo e di irresponsabilità.
Eppure si sa, la guerra è qualcosa che ti cambia, e non solo se la vivi da soldato, per cui se sei abituata a stare dietro una scrivania e poi assaggi il piacere della notorietà, quando scopri che l'unica cosa che interessa ai tuoi telespettatori è lo shock dell'immagine impressionante e cruda, trovare un equilibrio che non lasci insoddisfatto nessuno diventa complicato e conflittuale.
Di WTF, insomma, ce ne sarebbero da contare. E in un certo senso "Whiskey Tango Foxtrot", a modo suo, una stima imprecisa la tira pure fuori. C'è tanta carne al fuoco nella pellicola di Ficarra e Requa, tematiche per nulla fresche, che non alzano il velo su nulla di specifico, ma disposte sulla griglia con ordine e secondo un criterio pensante per nulla scontato (il che non è da sottovalutare). Motivo per cui il loro lavoro, seppur a tratti apparentemente sconclusionato e improvvisato, ha il pregio di non perder mai il filo e di mantenere un equilibrio narrativo costante, nel quale dimenarsi tra comicità sottile, osservazioni documentaristiche e avvenimenti tragici, prettamente da guerra. Di rimbalzo riesce, poi, a raccontare la cultura dei due paesi su cui si spacca, mettendone a fuoco il confronto diplomatico, le vedute e i crismi, così come i pregi e i difetti: che non per forza devono andare in favore della compagine casalinga a stelle e strisce. Fanno in modo che nulla resti indietro, i due registi, ritagliando lo spazio anche per sottotrame romantiche, maturazioni personali e filosofie esistenziali che, nonostante l'ostilità di fondo, risultano, alla fine della fiera, meno ciniche e nere del previsto.
In linea con la loro cifra e con l'esplorazione che portano entrambi avanti stabilmente, Ficarra e Requa, continuano a saltare allora da un genere all'altro, forse per conoscersi meglio - come accade alla Kim Baker della Fey - o forse per puro gusto di sfruttare al massimo le chance del mestiere. Rispetto alla prova di "Focus", in cui la brillantezza e il carisma venivano meno, "Whiskey Tango Foxtrot" è un risveglio deciso, promettente e un pizzico più ambizioso. Certo, l'obiettivo deve essere quello di tornare ai fasti di "Crazy, Stupid, Love", ma pensiamo che di questo, loro, ne siano già totalmente al corrente.
Ma che cazzo! (Scusate...)
Trailer:
Quel "What The Fuck!" (per i meno informati: Ma che cazzo!) è un esclamazione infatti che la Baker di Tina Fey, dentro di sé, avrà ripetuto in loop fino alla nausea, a cominciare dal giorno in cui, impugnando come motivazione il suo stato di single senza figli, la redazione per cui lavora decide di selezionarla per andare a fare la reporter di guerra nell'Afghanistan post-Undici-Settembre, scombussolandole routine e vita sentimentale. Giunta a Kabul, va da sé, la sua situazione non migliora di un millimetro, anzi, truppe americane a parte (che pure non la regalano), si rende conto che l'essere giornalista donna, per giunta d'assalto, in un paese di stampo maschilista, è un mestiere ancor più proibitivo e pericoloso, dove stare al passo equivale un po' come a scegliere di entrare nel pericoloso tunnel della droga, precludendosi qualunque via d'uscita. Perché buttarsi a capofitto in una sparatoria, riprendere integralmente la scena e, infine, scoprirsi ancora viva, incolume, è un esperienza adrenalinica micidiale, della quale si rischia di rimanere schiavi e di andare a ricercarne, in seguito, stesse sensazioni, alzando magari persino l'asticella di rischio. Un gioco d'azzardo che poco si allontana dalla roulette russa de "Il Cacciatore", se non fosse per la sostanziale differenza che a rischiare la vita, in un contesto così, oltre te, ci sono collaboratori e impiegati disparati, costretti a starti dietro e di cui non tener conto è segnale di egoismo e di irresponsabilità.
Eppure si sa, la guerra è qualcosa che ti cambia, e non solo se la vivi da soldato, per cui se sei abituata a stare dietro una scrivania e poi assaggi il piacere della notorietà, quando scopri che l'unica cosa che interessa ai tuoi telespettatori è lo shock dell'immagine impressionante e cruda, trovare un equilibrio che non lasci insoddisfatto nessuno diventa complicato e conflittuale.
Di WTF, insomma, ce ne sarebbero da contare. E in un certo senso "Whiskey Tango Foxtrot", a modo suo, una stima imprecisa la tira pure fuori. C'è tanta carne al fuoco nella pellicola di Ficarra e Requa, tematiche per nulla fresche, che non alzano il velo su nulla di specifico, ma disposte sulla griglia con ordine e secondo un criterio pensante per nulla scontato (il che non è da sottovalutare). Motivo per cui il loro lavoro, seppur a tratti apparentemente sconclusionato e improvvisato, ha il pregio di non perder mai il filo e di mantenere un equilibrio narrativo costante, nel quale dimenarsi tra comicità sottile, osservazioni documentaristiche e avvenimenti tragici, prettamente da guerra. Di rimbalzo riesce, poi, a raccontare la cultura dei due paesi su cui si spacca, mettendone a fuoco il confronto diplomatico, le vedute e i crismi, così come i pregi e i difetti: che non per forza devono andare in favore della compagine casalinga a stelle e strisce. Fanno in modo che nulla resti indietro, i due registi, ritagliando lo spazio anche per sottotrame romantiche, maturazioni personali e filosofie esistenziali che, nonostante l'ostilità di fondo, risultano, alla fine della fiera, meno ciniche e nere del previsto.
In linea con la loro cifra e con l'esplorazione che portano entrambi avanti stabilmente, Ficarra e Requa, continuano a saltare allora da un genere all'altro, forse per conoscersi meglio - come accade alla Kim Baker della Fey - o forse per puro gusto di sfruttare al massimo le chance del mestiere. Rispetto alla prova di "Focus", in cui la brillantezza e il carisma venivano meno, "Whiskey Tango Foxtrot" è un risveglio deciso, promettente e un pizzico più ambizioso. Certo, l'obiettivo deve essere quello di tornare ai fasti di "Crazy, Stupid, Love", ma pensiamo che di questo, loro, ne siano già totalmente al corrente.
Ma che cazzo! (Scusate...)
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