Una possibilità non si nega a nessuno, nemmeno a Paul Feig. D’altronde chiedeva solo questo il regista, quando ha iniziato a leggere e ad intuire che il suo reboot di “Ghostbusters” tanto bene non era stato preso dal popolo della rete che, forse in maniera un tantino repentina, aveva massacrato l’intera operazione (non) cibandosi a malapena delle immagini del trailer.
Che poi, si sa, dietro a mosse commerciali di questo tipo è automatico aspettarsi reazioni negative di qualche affezionato, di gente (morbosamente) attaccata a quel titolo, magari considerato cult, al punto da prenderla sul personale ed esagerare nei modi, dimenticando che l’industria cinematografica (purtroppo e per fortuna) è liberissima di operare, così come chi ne usufruisce (purtroppo e per fortuna) è liberissimo di ignorare.
Polemiche a parte, però, questo “Ghostbusters” incuriosiva veramente. Era scontato infatti che Feig si era messo a giocare col fuoco. Insulti o meno (su cui fa anche ironia), la responsabilità di qualcosa con cui avrebbe potuto solo scottarsi, sicuramente, la sentiva anche lui e, per questo, era interessante capire come si era messo in testa di volerla affrontare. Ed è stato furbo, il regista, bisogna concederglielo, ha fatto tesoro dell’operazione nostalgia di “Star Wars”, lavorando sul suo reboot alla stessa maniera di J.J. Abrams, ovvero cercando di prendere spunto dalla pellicola originale del 1984, per creare una versione aggiornata, da dedicare alla generazione contemporanea. Certo, rispetto al suo collega, lui, ci è andato coi piedi meno di piombo, cambiando completamente storia e dinamiche e accontentandosi di mantenere simile e coerente solo l’immaginario più indelebile (logo, attrezzature, musiche, ecc.), ma, probabilmente, l’ha fatto perché oggi un blockbuster non può essere considerato tale se non evidenzia determinate caratteristiche: e quindi se non è abbastanza esagerato, grosso e intriso di tutta una serie di ingredienti che, se disgraziatamente ti ritrovi ad avere un palato appena più fino, finisci, magari, per non gradire abbastanza (ingredienti che, peraltro, lo “Star Wars” del 1977, a suo lungimirante modo, già aveva, mentre il “Ghostbusters” del 1984 assolutamente no).
Eppure la sensazione è che, comunque, Feig l’obiettivo l’abbia centrato in pieno, che sia riuscito ad inquadrare perfettamente il target a cui puntava, costruendo un prodotto che non ha assolutamente intenzione di andarsi a prendere i consensi di chi era sentimentalmente legato alla pellicola di Ivan Reitman (anche se non gli dispiacerebbe se ci riuscisse), bensì quelli di coloro che con la suddetta pellicola (ancora) non sono entrati in contatto (il che non significa per forza non averla vista).
C’è rispetto e coraggio, insomma, da parte del regista, che addirittura frena il suo umorismo, spesso, esagerato e fastidioso, provando a contenersi e a replicare lo spirito dell’opera a cui si ispira. A volte ci riesce e a volte meno, ma la buona volontà è visibile e, in più di un occasione, finisce addirittura per premiarlo (eh già, si ride). Del resto l’alchimia tra le quattro donne al comando funziona sopra ogni aspettativa, Kristen Wiig si conferma una garanzia certificata, Melissa McCarthy - come Feig - tiene a bada i suoi istinti strabordanti e la forma esplosiva di Kate McKinnon compensa quella sottotono e approssimativa di Leslie Jones; fermo restando che Chris Hemsworth versione imbecille fornisce delle battute extra e delle chicche per niente da sottovalutare (lui si che si è divertito un mondo!).
Quasi dispiace, allora, quando le regole dell’industria, in chiusura, salgono in cattedra decidendo di sovrastare i vari sforzi e l’impegno stimato per richiamare i tratti peggiori dei cinecomic-tutti, mandando all’aria, di fatto, una stabilità narrativa che, seppur mai retta e precisa, aveva saputo fare, sostanzialmente, il suo dovere e farlo piuttosto bene.
Ma questo, diciamolo, è il parere di chi ha qualche problemino con quelle “esagerazioni” di cui sopra, che fa parte di una generazione che, senza dubbio, continuerà a intendere “Ghostbusters” come il film del 1984, che pur avendo relativamente apprezzato il lavoro di Feig, con certe pieghe industriali continua ancora a fare a botte e a discutere. Convinto, tuttavia, che le generazioni nuove (la massa, almeno) che approcceranno questo nuovo film, lo apprezzeranno, forse, più dell’originale, perché scritto su misura secondo i loro standard e secondo i loro gusti.
E a noi, cari nostalgici, non resta altro che accettare la faccenda e farcene una ragione.
Trailer:
Che poi, si sa, dietro a mosse commerciali di questo tipo è automatico aspettarsi reazioni negative di qualche affezionato, di gente (morbosamente) attaccata a quel titolo, magari considerato cult, al punto da prenderla sul personale ed esagerare nei modi, dimenticando che l’industria cinematografica (purtroppo e per fortuna) è liberissima di operare, così come chi ne usufruisce (purtroppo e per fortuna) è liberissimo di ignorare.
Polemiche a parte, però, questo “Ghostbusters” incuriosiva veramente. Era scontato infatti che Feig si era messo a giocare col fuoco. Insulti o meno (su cui fa anche ironia), la responsabilità di qualcosa con cui avrebbe potuto solo scottarsi, sicuramente, la sentiva anche lui e, per questo, era interessante capire come si era messo in testa di volerla affrontare. Ed è stato furbo, il regista, bisogna concederglielo, ha fatto tesoro dell’operazione nostalgia di “Star Wars”, lavorando sul suo reboot alla stessa maniera di J.J. Abrams, ovvero cercando di prendere spunto dalla pellicola originale del 1984, per creare una versione aggiornata, da dedicare alla generazione contemporanea. Certo, rispetto al suo collega, lui, ci è andato coi piedi meno di piombo, cambiando completamente storia e dinamiche e accontentandosi di mantenere simile e coerente solo l’immaginario più indelebile (logo, attrezzature, musiche, ecc.), ma, probabilmente, l’ha fatto perché oggi un blockbuster non può essere considerato tale se non evidenzia determinate caratteristiche: e quindi se non è abbastanza esagerato, grosso e intriso di tutta una serie di ingredienti che, se disgraziatamente ti ritrovi ad avere un palato appena più fino, finisci, magari, per non gradire abbastanza (ingredienti che, peraltro, lo “Star Wars” del 1977, a suo lungimirante modo, già aveva, mentre il “Ghostbusters” del 1984 assolutamente no).
Eppure la sensazione è che, comunque, Feig l’obiettivo l’abbia centrato in pieno, che sia riuscito ad inquadrare perfettamente il target a cui puntava, costruendo un prodotto che non ha assolutamente intenzione di andarsi a prendere i consensi di chi era sentimentalmente legato alla pellicola di Ivan Reitman (anche se non gli dispiacerebbe se ci riuscisse), bensì quelli di coloro che con la suddetta pellicola (ancora) non sono entrati in contatto (il che non significa per forza non averla vista).
C’è rispetto e coraggio, insomma, da parte del regista, che addirittura frena il suo umorismo, spesso, esagerato e fastidioso, provando a contenersi e a replicare lo spirito dell’opera a cui si ispira. A volte ci riesce e a volte meno, ma la buona volontà è visibile e, in più di un occasione, finisce addirittura per premiarlo (eh già, si ride). Del resto l’alchimia tra le quattro donne al comando funziona sopra ogni aspettativa, Kristen Wiig si conferma una garanzia certificata, Melissa McCarthy - come Feig - tiene a bada i suoi istinti strabordanti e la forma esplosiva di Kate McKinnon compensa quella sottotono e approssimativa di Leslie Jones; fermo restando che Chris Hemsworth versione imbecille fornisce delle battute extra e delle chicche per niente da sottovalutare (lui si che si è divertito un mondo!).
Quasi dispiace, allora, quando le regole dell’industria, in chiusura, salgono in cattedra decidendo di sovrastare i vari sforzi e l’impegno stimato per richiamare i tratti peggiori dei cinecomic-tutti, mandando all’aria, di fatto, una stabilità narrativa che, seppur mai retta e precisa, aveva saputo fare, sostanzialmente, il suo dovere e farlo piuttosto bene.
Ma questo, diciamolo, è il parere di chi ha qualche problemino con quelle “esagerazioni” di cui sopra, che fa parte di una generazione che, senza dubbio, continuerà a intendere “Ghostbusters” come il film del 1984, che pur avendo relativamente apprezzato il lavoro di Feig, con certe pieghe industriali continua ancora a fare a botte e a discutere. Convinto, tuttavia, che le generazioni nuove (la massa, almeno) che approcceranno questo nuovo film, lo apprezzeranno, forse, più dell’originale, perché scritto su misura secondo i loro standard e secondo i loro gusti.
E a noi, cari nostalgici, non resta altro che accettare la faccenda e farcene una ragione.
Trailer:
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