I Fang sono una famiglia un po’ strana, eccentrica, a cui piace fare arte creando scompiglio in pubblico. Più che arte, però, la loro potrebbe essere definita satira, quella reazionaria, studiata nei minimi dettagli per provocare lo spettatore, costringendolo a uno stimolo. Allestiscono perlopiù candid camera loro, infatti, con tanto di telecamere nascoste e stralci di copione, mettendo in scena, rigorosamente in esterni, situazioni estreme con le quali attirare l’attenzione di poveri passanti e non solo. Un impresa nella quale hanno fortemente voluto includere anche i due figli, sin da bambini, trasformandoli in star premature e chiacchierate e condizionando la loro vita prepotentemente e in più di un senso.
Essere un Fang è complicato, ma essere figlio di un Fang è ancora peggio.
L’eredità da portare sulle spalle è piuttosto enorme, specie se hai intenzione di non abbandonare quel legame con l’arte in generale, ma vorresti proseguire cambiando direzione. La vera arte – viene detto e lasciato intendere esplicitamente – tende a farsi intorno terra bruciata, a non essere compresa dal pubblico, eppure un grande artista ha il dovere di fregarsene, di proseguire per la sua strada, pensando a nuove strategie per alzare l’asticella e sconvolgere maggiormente quel gregge di pecore intente a seguire dei leader sbagliati. Per i personaggi interpretati da Jason Bateman e Nicole Kidman è diverso, tuttavia, diventati adulti loro hanno preferito staccarsi da quel nucleo famigliare strambo e ingombrante, dividersi a miglia di distanza l’uno dell’altra e dai genitori, proseguendo la loro carriera in autonomia: il primo da scrittore e la seconda da attrice. Le cose stentano ad andare bene ad entrambi, artisticamente e umanamente, ma la separazione guadagnata, sia per uno che per l’altra, a quanto pare è un beneficio impagabile e da difendere.
Di carne al fuoco, insomma, “La Famiglia Fang” non si può dire che non ne metta. Il film, tratto dal romanzo di Kevin Wilson e diretto da Bateman (alla sua opera seconda dietro la macchina da presa), tocca trasversalmente temi corposi e significativi: come l’ombra dei genitori sui propri figli, la condizione dell’arte nella (nostra) società e la forma che quest’ultima meriterebbe di assumere per poter essere considerata tale, nonché rispettata. Cerca di mantenere nel suo contenitore ogni elemento, il regista, non rinunciando a nulla e inserendo addirittura, in più, la componente thriller, relativa ai genitori dei protagonisti, misteriosamente scomparsi e, forse, vittime di un omicidio.
Prova a gestire un lenzuolo obiettivamente troppo largo Bateman, in una durata complessiva, tra l’altro, che non è sufficiente ad accrescere ogni singolo spunto in maniera esaustiva e meritevole, nella quale, inoltre, l’evolversi delle situazioni spinge costantemente a deviare l’interesse, balzando un tantino troppo da una parte e dall’altra. Non manca, comunque, di suscitare riflessioni il suo lavoro. Seppur a sprazzi “La Famiglia Fang” si va ad inserire in dei contesti pruriginosi con l’intento di provocare e aprire gli occhi allo spettatore: invogliandolo ad accettare, come a condividere, quegli esperimenti sociali che, inizialmente, per qualcuno, potrebbero sembrare eccessivi e largamente fuori luogo. Del resto, lo sappiamo, la satira non ha mai cambiato il mondo e, probabilmente, continuerà a non farlo, può deviarlo per un secondo, magari, ma mai piegarlo totalmente a quelle che sarebbero le sue volontà. Questo almeno fino a quando il mondo non sarà pieno di famiglie Fang, che della satira si nutrono e son disposti a sacrificar le loro vite (anche qui, in più di un senso) pur di alimentare il fuoco della stessa.
Perché in quel caso sarebbe tutto diverso, in quel caso la satira potrebbe davvero cambiar le nostre vite, piegarle, rianimarle dalla monotonia, dal malessere generale e con un pizzico di cinismo, misto ad intelletto, spingerle verso quella sublimazione che, sotto sotto, da un pezzo tutti stiamo cercando.
Ed, in parte, è questo il motivo per cui, con tutte le sue contraddizioni, alla famiglia Fang (sia film che nucleo) alla fine, si vuol bene a prescindere, al di la dei vizi e delle imperfezioni che si porta dietro: non così distanti, in fondo, dalle imperfezioni e dai vizi che ogni altra famiglia che si rispetti è solita avere nel suo DNA.
Trailer:
Essere un Fang è complicato, ma essere figlio di un Fang è ancora peggio.
L’eredità da portare sulle spalle è piuttosto enorme, specie se hai intenzione di non abbandonare quel legame con l’arte in generale, ma vorresti proseguire cambiando direzione. La vera arte – viene detto e lasciato intendere esplicitamente – tende a farsi intorno terra bruciata, a non essere compresa dal pubblico, eppure un grande artista ha il dovere di fregarsene, di proseguire per la sua strada, pensando a nuove strategie per alzare l’asticella e sconvolgere maggiormente quel gregge di pecore intente a seguire dei leader sbagliati. Per i personaggi interpretati da Jason Bateman e Nicole Kidman è diverso, tuttavia, diventati adulti loro hanno preferito staccarsi da quel nucleo famigliare strambo e ingombrante, dividersi a miglia di distanza l’uno dell’altra e dai genitori, proseguendo la loro carriera in autonomia: il primo da scrittore e la seconda da attrice. Le cose stentano ad andare bene ad entrambi, artisticamente e umanamente, ma la separazione guadagnata, sia per uno che per l’altra, a quanto pare è un beneficio impagabile e da difendere.
Di carne al fuoco, insomma, “La Famiglia Fang” non si può dire che non ne metta. Il film, tratto dal romanzo di Kevin Wilson e diretto da Bateman (alla sua opera seconda dietro la macchina da presa), tocca trasversalmente temi corposi e significativi: come l’ombra dei genitori sui propri figli, la condizione dell’arte nella (nostra) società e la forma che quest’ultima meriterebbe di assumere per poter essere considerata tale, nonché rispettata. Cerca di mantenere nel suo contenitore ogni elemento, il regista, non rinunciando a nulla e inserendo addirittura, in più, la componente thriller, relativa ai genitori dei protagonisti, misteriosamente scomparsi e, forse, vittime di un omicidio.
Prova a gestire un lenzuolo obiettivamente troppo largo Bateman, in una durata complessiva, tra l’altro, che non è sufficiente ad accrescere ogni singolo spunto in maniera esaustiva e meritevole, nella quale, inoltre, l’evolversi delle situazioni spinge costantemente a deviare l’interesse, balzando un tantino troppo da una parte e dall’altra. Non manca, comunque, di suscitare riflessioni il suo lavoro. Seppur a sprazzi “La Famiglia Fang” si va ad inserire in dei contesti pruriginosi con l’intento di provocare e aprire gli occhi allo spettatore: invogliandolo ad accettare, come a condividere, quegli esperimenti sociali che, inizialmente, per qualcuno, potrebbero sembrare eccessivi e largamente fuori luogo. Del resto, lo sappiamo, la satira non ha mai cambiato il mondo e, probabilmente, continuerà a non farlo, può deviarlo per un secondo, magari, ma mai piegarlo totalmente a quelle che sarebbero le sue volontà. Questo almeno fino a quando il mondo non sarà pieno di famiglie Fang, che della satira si nutrono e son disposti a sacrificar le loro vite (anche qui, in più di un senso) pur di alimentare il fuoco della stessa.
Perché in quel caso sarebbe tutto diverso, in quel caso la satira potrebbe davvero cambiar le nostre vite, piegarle, rianimarle dalla monotonia, dal malessere generale e con un pizzico di cinismo, misto ad intelletto, spingerle verso quella sublimazione che, sotto sotto, da un pezzo tutti stiamo cercando.
Ed, in parte, è questo il motivo per cui, con tutte le sue contraddizioni, alla famiglia Fang (sia film che nucleo) alla fine, si vuol bene a prescindere, al di la dei vizi e delle imperfezioni che si porta dietro: non così distanti, in fondo, dalle imperfezioni e dai vizi che ogni altra famiglia che si rispetti è solita avere nel suo DNA.
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