L'Era Glaciale: In Rotta Di Collisione - La Recensione

L'Era Glaciale 5 Poster
C’è chi si arrampica sugli specchi e chi, non contento, preferisce arrampicarsi nello spazio.
Riparte da qui “L’Era Glaciale”, dalle classiche peripezie di Scrat con la “sua” ghianda che stavolta finiscono per lanciarlo dritto, dritto in orbita: pilota incerto di una navicella spaziale gigantesca (per lui soprattutto), nella quale girovaga e impazza senza meta. Una trovata simpatica, coerente con le altre, che dà l’impressione di voler essere un cortometraggio a sé stante, ma che poi si fa input per un quinto capitolo della saga quantomeno inatteso.  La terra sta per esplodere infatti: una pioggia di asteroidi – complice, appunto, lo sbadato Scrat – ha minacciato la fine e, a breve, un grosso masso infuocato non lascerà scampo a nessuno, Sid, Manny e Diego compresi. Bisogna fare qualcosa, trovare una soluzione al problema e il temerario Buck, forse, sa come metterci una pezza.

Uno dei franchise più prolifici del genere d'animazione, allora, prosegue il suo tragitto zoppicando sempre di più, appoggiandosi a stravolgimenti narrativi estremi e puntando al legame e all’affetto che il pubblico - specie quello più piccolo - nutre per i suoi protagonisti. Da raccontare, in realtà, c’è rimasto quasi nulla, ormai si punta più a cercare pretesti, scuse, per non chiudere i battenti e trascinarsi oltremodo: inquadrando la pellicola, datata 2002, come fosse una meteora lontana lontana, quasi invisibile, e da celebrare.
A spingere questo “L'Era Glaciale: In Rotta Di Collisione” quindi ci pensano i comprimari, le spalle storiche, centellinate in passato e da spremere adesso come oro colato: su tutti un Buck in forma smagliante, detentore delle battute e dei momenti migliori, presente in scena come mai fino ad ora gli era stato concesso. Il furetto - doppiato in originale da Simon Pegg – è, dalla sua prima apparizione, l’elemento di rottura migliore, l’accelerazione unica di una macchina rimasta senza benzina, che quando deve tornare ad occuparsi delle sue “prime donne” stenta a tenere la strada e la sua direzione. I concetti intorno ai quali si gira, non a caso, cambiano di poco, sfiorando spesso il già visto e la ridondanza. Famiglia, crescita, rapporti sentimentali, tutti maneggiati in passato, anche con più cura, eppure ancora utili per inserire carne al fuoco e muovere situazioni.

Buck Simon PeggQuella diretta a quattro mani da Mike Thurmeier e Galen T. Chu, insomma, è una pellicola nulla a pretendere, a cui non dispiace affatto strizzare l’occhio ad un cinema preesistente (citato peraltro spudoratamente) e che dà priorità alla comicità slapstick, piuttosto che alla narrazione: sulla quale, invece, impiega una quantità di energie assai ridotte e demotivate (vedi i tre villain che sommati non riescono a farne uno buono). Lo scopo unico - ci dicono gli sketch e le varie freddure - è quello di strappare quante più risate possibili, di allietare il pubblico di riferimento, non facendo alcuna tragedia se l’accompagnatore di turno o il genitore dovesse rimanere meno entusiasta e/o poco interessato. Che, in caso di emergenza, tanto, ci sono le incursioni di Scrat a rimettere tutti d’accordo, a risvegliare eventuali torpori e a rivitalizzare una piattezza, la cui misura, comunque, può variare da soggetto a soggetto.

L’importante è rimanere in giro, a quanto pare, vicino alle nostre vite e a quelle di chi, nel corso degli anni, è arrivato dopo, allargando, magari, la nostra famiglia proprio come ha saputo allargarsi quella dei tre amiconi del film. Che al costo di arrampicarsi sugli specchi prima e nello spazio poi, pare abbiano deciso di gravitare ancora a lungo intorno alle nostre bendisposte orbite.

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