Jude Law è Thomas Wolfe, uno scrittore esuberante, passionale e verboso, alla ricerca di una casa editrice che possa pubblicare il suo romanzo giudicato non buono, ma unico. Colin Firth, invece, è l'editor Maxwell Perkins: colui che nel settore, agendo nell'ombra, si occupa tecnicamente di giudicare il valore di un romanzo, adattandolo, se potenzialmente buono, su misura per quelle che sono le esigenze e le attenzioni dei lettori. E' a lui che personaggi come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald devono tantissimo dei loro successi, e ben presto dovrà fare altrettanto Wolfe, che grazie alle sforbiciate e ai preziosi consigli su come rimaneggiare i suoi (lunghi e dispersivi) scritti raggiungerà quel successo che sognava e che era disposto a sacrificare qualunque cosa per conquistare.
Racconta del rapporto strettissimo tra due uomini, fondamentalmente, allora "Genius", di una collaborazione professionale intensa, passionale, sfociata nel bromance a causa dell'intesa e dell'alchimia che sia Wolfe che Perkins, nelle loro conversazioni e discussioni, intuivano di condividere nei confronti dei concetti, delle parole e della letteratura-tutta. Erano entrambi due geni, ovviamente, uno nel buttare giù flussi di coscienza che non smettevano di scorrere sulle pagine infinite che stampava con la mano e l'altro nell'individuare gli eccessi, le digressioni e i superflui che potevano impedire a qualcosa di straordinario di non esser compreso o recepito al massimo della sua espressione dal pubblico. Lavoravano in simbiosi, in pratica, l'uno al fianco all'altro, come fossero due metà di una perfezione divisa che improvvisamente e casualmente era riuscita a ritrovarsi e a ricongiungersi, con buona pace delle mogli (e dei figli, in casa Perkins) che tra discussioni e messe alle strette tentavano in tutti i modi di separarli e di rubarli a quel vortice artistico da cui era impossibile estirparli. Un'amore non consumato che andò avanti imperterrito, costante, fino ai giorni di malattia che stroncarono la vita dell'autore, da cui Perkins non si è mai separato davvero, neppure quando le sue derive autodistruttive, i problemi di alcool e i comportamenti inaccettabili presero il sopravvento, portandolo a peccare di arroganza, offendendo colleghi e mancando di rispetto alla sua famiglia.
Nel suo incedere, perciò, la pellicola diretta da Michael Grandage - che è tratta da una storia vera - cambia spesso forma e pelle, dividendosi in vari spaccati, ognuno manipolato e arricchito da elementi specifici, sempre diversi dal precedente e dal successivo. Dall'alchimia Wolfe-Perkins iniziale - nel quale si approfitta anche per dar voce al mestiere semi-sconosciuto dell'editor - si passa, dunque, a comprendere da vicino un carattere complesso ed incontrollabile come quello del personaggio interpretato da uno stratosferico Law, che piano piano, ripassando per la relazione con Firth - il quale lo considera tra gli scrittori più impressionanti dell'epoca, tanto ne è affascinato - diventa il protagonista attivo di "Genius": avvantaggiato anche da un mestiere e da una personalità assai più cinematografica dell'editor affidato al collega. Talmente riesce a spremere poco da quella che doveva essere la punta di diamante del suo lavoro, infatti, che a un certo punto Grandage da addirittura l'impressione di voler scadere in una sorta di biografia di Wolfe, tralasciando il resto tirato in ballo, che riprende solo a fine corsa per ultimare quel bromance appuntato in principio. Una scelta stilistica che impedisce al suo lavoro di proporsi con omogeneità, con equilibrio, azzeccando buoni momenti, specie nella parte introduttiva, e singhiozzando un tantino dal centro in poi, nello sviluppo e nella risoluzione.
Complessivamente ne vien fuori un film dai toni opachi, tristi, interessante a piccole dosi e dove spiccano, di slancio, le interpretazioni degli attori e le imperfezioni percettibili che ne alterano visione e intento. Sarebbe facile dire adesso che con un Perkins di fianco Grandage avrebbe trovato, forse, la giusta quadratura e che il non averne potuto usufruire è stato davvero un grosso peccato. Ma, se andiamo a vedere, a questo "Genius" purtroppo è mancato proprio quell'aiuto in sceneggiatura che potesse fare ordine e scolpire meglio le basi. Il che, per certi versi, calcolando che lo aveva all'interno, è un divertente paradosso.
Trailer:
Racconta del rapporto strettissimo tra due uomini, fondamentalmente, allora "Genius", di una collaborazione professionale intensa, passionale, sfociata nel bromance a causa dell'intesa e dell'alchimia che sia Wolfe che Perkins, nelle loro conversazioni e discussioni, intuivano di condividere nei confronti dei concetti, delle parole e della letteratura-tutta. Erano entrambi due geni, ovviamente, uno nel buttare giù flussi di coscienza che non smettevano di scorrere sulle pagine infinite che stampava con la mano e l'altro nell'individuare gli eccessi, le digressioni e i superflui che potevano impedire a qualcosa di straordinario di non esser compreso o recepito al massimo della sua espressione dal pubblico. Lavoravano in simbiosi, in pratica, l'uno al fianco all'altro, come fossero due metà di una perfezione divisa che improvvisamente e casualmente era riuscita a ritrovarsi e a ricongiungersi, con buona pace delle mogli (e dei figli, in casa Perkins) che tra discussioni e messe alle strette tentavano in tutti i modi di separarli e di rubarli a quel vortice artistico da cui era impossibile estirparli. Un'amore non consumato che andò avanti imperterrito, costante, fino ai giorni di malattia che stroncarono la vita dell'autore, da cui Perkins non si è mai separato davvero, neppure quando le sue derive autodistruttive, i problemi di alcool e i comportamenti inaccettabili presero il sopravvento, portandolo a peccare di arroganza, offendendo colleghi e mancando di rispetto alla sua famiglia.
Nel suo incedere, perciò, la pellicola diretta da Michael Grandage - che è tratta da una storia vera - cambia spesso forma e pelle, dividendosi in vari spaccati, ognuno manipolato e arricchito da elementi specifici, sempre diversi dal precedente e dal successivo. Dall'alchimia Wolfe-Perkins iniziale - nel quale si approfitta anche per dar voce al mestiere semi-sconosciuto dell'editor - si passa, dunque, a comprendere da vicino un carattere complesso ed incontrollabile come quello del personaggio interpretato da uno stratosferico Law, che piano piano, ripassando per la relazione con Firth - il quale lo considera tra gli scrittori più impressionanti dell'epoca, tanto ne è affascinato - diventa il protagonista attivo di "Genius": avvantaggiato anche da un mestiere e da una personalità assai più cinematografica dell'editor affidato al collega. Talmente riesce a spremere poco da quella che doveva essere la punta di diamante del suo lavoro, infatti, che a un certo punto Grandage da addirittura l'impressione di voler scadere in una sorta di biografia di Wolfe, tralasciando il resto tirato in ballo, che riprende solo a fine corsa per ultimare quel bromance appuntato in principio. Una scelta stilistica che impedisce al suo lavoro di proporsi con omogeneità, con equilibrio, azzeccando buoni momenti, specie nella parte introduttiva, e singhiozzando un tantino dal centro in poi, nello sviluppo e nella risoluzione.
Complessivamente ne vien fuori un film dai toni opachi, tristi, interessante a piccole dosi e dove spiccano, di slancio, le interpretazioni degli attori e le imperfezioni percettibili che ne alterano visione e intento. Sarebbe facile dire adesso che con un Perkins di fianco Grandage avrebbe trovato, forse, la giusta quadratura e che il non averne potuto usufruire è stato davvero un grosso peccato. Ma, se andiamo a vedere, a questo "Genius" purtroppo è mancato proprio quell'aiuto in sceneggiatura che potesse fare ordine e scolpire meglio le basi. Il che, per certi versi, calcolando che lo aveva all'interno, è un divertente paradosso.
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