Visti i numeri commerciali del marchio, l’arrivo di “Assassin’s Creed” al cinema era solo questione di tempo. L’appeal e l’interesse nei confronti del videogame per pc e console - nato circa dieci anni fa e fiore all'occhiello di casa Ubisoft - ha avuto infatti sul mercato una crescita rapida e sproporzionata, inarrestabile, in grado di abbattere qualunque barriera anagrafica e conquistare giocatori di sesso maschile, ma anche femminile. Un’industria come quella di Hollywood, perciò - votata principalmente all'incasso e al rischio minimo d’investimento - non poteva ignorare a lungo tale fenomeno, non poteva non lasciarsi abbagliare dalla facilità di un progetto capace di coinvolgere nell'immediato una schiera di fan fedelissimi pronti ad acquistare il biglietto in anticipo e sulla fiducia. Sulla troppa fiducia, forse.
Già perché quello diretto da Justin Kurzel è un film senza né capo e né coda, che prende l’impronta videoludica originale, la riproduce fedelmente in modo accurato, ma poi rovina tutto attraverso delle aspirazioni mastodontiche, inutili, che guastano sia la narrazione che la possibilità di un intrattenimento solido e scenografico a cui un prodotto del genere avrebbe dovuto ambire almeno come traguardo minimo. Pecca di venialità il regista, che dopo “Macbeth” procede a ostentare i suoi manierismi e, in questo caso, non fa nulla per limitare i problemi di una sceneggiatura sbagliata, disordinata e inadatta ad illuminare un franchise assetato di espansione e voglia di irrobustirsi. Mettersi lì, allora, a comprendere nei dettagli il significato dell'animus, il suo meccanismo, le discendenze dei personaggi e della guerra tra Assassini e Templari che muove l’azione, è mestiere agevole, ma nel frattempo complesso: perché se a grandi linee i schieramenti appaiono nitidi e naturali, a figurare assai opache sono le ragioni e gli ideali di chi è prigioniero e di chi combatte, per non parlare poi dell’impalcatura di una storia che sembra voler coprire con effetti speciali e qualche monologo antropologico fuori luogo quelle mura che non ha voluto o non ha fatto in tempo a costruire.
L’occasione di portare al cinema qualcosa di nuovo e di unico sfuma, quindi, per via di una pigrizia creativa a quanto pare indifferente alle potenzialità di un marchio che davvero poteva, se spremuto con intelligenza, andare a rinfrescare e a svecchiare un genere sempre più stanco e uguale a sé stesso. Certo, per farlo bisognava prenderlo sul serio e provare a sviluppare un prodotto volto a funzionare oltre quello zoccolo duro teoricamente devoto e già acquisto, che comunque non è detto, secondo chi scrive almeno, riesca a mandare giù il boccone amaro e ad apprezzare un risultato oggettivamente carente e lontano da qualunque attesa. Non c’è verso, del resto, per permettere ad “Assassin’s Creed” di vincere la sua scommessa: è un oggetto troppo misterioso, empirico, capace di non cambiare di una virgola i suoi difetti persino se visto da angolazioni differenti, capovolto o smontato. Neppure quando tenta di imbastire un finale rigorosamente più cinematografico e in stile Dan Brown è in grado di sfoggiare l’ombra di un verosimil pregio, sebbene finalmente ci onori di scendere coi piedi a terra, prendendo un pizzico di confidenza con quel dispositivo privo di joystick a cui, in principio, aveva dato sdegno e spalle.
A quel punto, però, il gong ha già emesso la sua sentenza, il tempo è scaduto e sia Kurzel che il film non possono più rientrare in partita per azzardare una rimonta e magari pareggiare i conti. Il premere bottoni a caso non serve, visto che ormai lo schermo segna game over e sia per il regista che per “Assassin’s Creed” al cinema è tempo di tornare a casa con la coda tra le gambe. Riflettendo, casomai, sui benefici che a volte può dare il semplice gesto di entrare nel menu opzioni e abbassare il livello di difficoltà prima di premere il tasto start.
Trailer:
Già perché quello diretto da Justin Kurzel è un film senza né capo e né coda, che prende l’impronta videoludica originale, la riproduce fedelmente in modo accurato, ma poi rovina tutto attraverso delle aspirazioni mastodontiche, inutili, che guastano sia la narrazione che la possibilità di un intrattenimento solido e scenografico a cui un prodotto del genere avrebbe dovuto ambire almeno come traguardo minimo. Pecca di venialità il regista, che dopo “Macbeth” procede a ostentare i suoi manierismi e, in questo caso, non fa nulla per limitare i problemi di una sceneggiatura sbagliata, disordinata e inadatta ad illuminare un franchise assetato di espansione e voglia di irrobustirsi. Mettersi lì, allora, a comprendere nei dettagli il significato dell'animus, il suo meccanismo, le discendenze dei personaggi e della guerra tra Assassini e Templari che muove l’azione, è mestiere agevole, ma nel frattempo complesso: perché se a grandi linee i schieramenti appaiono nitidi e naturali, a figurare assai opache sono le ragioni e gli ideali di chi è prigioniero e di chi combatte, per non parlare poi dell’impalcatura di una storia che sembra voler coprire con effetti speciali e qualche monologo antropologico fuori luogo quelle mura che non ha voluto o non ha fatto in tempo a costruire.
L’occasione di portare al cinema qualcosa di nuovo e di unico sfuma, quindi, per via di una pigrizia creativa a quanto pare indifferente alle potenzialità di un marchio che davvero poteva, se spremuto con intelligenza, andare a rinfrescare e a svecchiare un genere sempre più stanco e uguale a sé stesso. Certo, per farlo bisognava prenderlo sul serio e provare a sviluppare un prodotto volto a funzionare oltre quello zoccolo duro teoricamente devoto e già acquisto, che comunque non è detto, secondo chi scrive almeno, riesca a mandare giù il boccone amaro e ad apprezzare un risultato oggettivamente carente e lontano da qualunque attesa. Non c’è verso, del resto, per permettere ad “Assassin’s Creed” di vincere la sua scommessa: è un oggetto troppo misterioso, empirico, capace di non cambiare di una virgola i suoi difetti persino se visto da angolazioni differenti, capovolto o smontato. Neppure quando tenta di imbastire un finale rigorosamente più cinematografico e in stile Dan Brown è in grado di sfoggiare l’ombra di un verosimil pregio, sebbene finalmente ci onori di scendere coi piedi a terra, prendendo un pizzico di confidenza con quel dispositivo privo di joystick a cui, in principio, aveva dato sdegno e spalle.
A quel punto, però, il gong ha già emesso la sua sentenza, il tempo è scaduto e sia Kurzel che il film non possono più rientrare in partita per azzardare una rimonta e magari pareggiare i conti. Il premere bottoni a caso non serve, visto che ormai lo schermo segna game over e sia per il regista che per “Assassin’s Creed” al cinema è tempo di tornare a casa con la coda tra le gambe. Riflettendo, casomai, sui benefici che a volte può dare il semplice gesto di entrare nel menu opzioni e abbassare il livello di difficoltà prima di premere il tasto start.
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