Il Diritto Di Contare - La Recensione

Il Diritto Di Contare Film
Certo, a vedere la prima scena non puoi che scuotere la testa. Non puoi che pensare: lo sapevo, la solita storia raccontata con quel pathos esagerato, tipico americano, che rovinerà tutto.
E invece, poi, no. Invece con un minimo di pazienza arriva la seconda di scena: con tre donne nere ferme in mezzo alla strada perché la loro macchina è guasta, un agente di polizia che si ferma con l’intento di far valere i suoi pregiudizi e loro, tutt’altro che sprovvedute, se lo incartano a parole togliendosi anche la soddisfazione di tallonarlo con la macchina. Ecco, da quel momento in poi, “Il Diritto Di Contare”, comincia la sua scalata, una scalata che ogni tanto avrà ancora dei lievi bassi, ma tutto sommato piacevole, appassionante e divertente.

Sarebbe stato un peccato, del resto, se fosse stato il contrario, se il regista e sceneggiatore Theodore Melfi avesse ceduto il passo alla retorica e non sfruttato al meglio una storia così incredibile come quella che aveva tra le mani. Una storia vera, dove tre donne di colore, nell’America del 1961, quindi ancora in pieno contrasto razziale, facevano valere i loro diritti attraverso la conoscenza, il talento, ma soprattutto l’intelligenza di sapersi relazionare a quel bianco che se gli facevi credere di starlo a guardare dal basso verso l’alto, a volte, te lo ritrovavi davvero in un palmo di mano. Certo, non è che era sempre così semplice, specie alla NASA, luogo in cui Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson lavoravano come calcolatrici matematiche, e in cui spesso la soluzione migliore per sopravvivere era quella di concedersi a un lungo respiro e non forzare troppo la mano, puntando magari leggermente i piedi, ma senza esagerare, che quando hai il coltello dalla parte della lama, si sa, hai comunque tutto da perdere. Questo nonostante, in quel momento storico, ad avere tutto da perdere sembrava fosse solo l’America, il suo orgoglio in particolare: ferito nel profondo dal vantaggio della Russia sulle scoperte spaziali e da Jurij Gagarin che diventava il primo uomo ad aver orbitato intorno alla terra.

Il Diritto Di ContareAffronto che ha certamente aiutato a far emergere le priorità, ad evidenziare quanto la volontà di essere grandi, ambiziosi e unici potesse letteralmente frantumare, anche se non a regime, anche se non in forma assoluta, quella diversità tra bianchi e neri e tra donne e uomini, che appariva a posteriori tassativa ed inflessibile, ma che a conti fatti era (ed è) paragonabile semmai più a un capriccio che a una reale esigenza. Un piccolo passo per l’uomo e un grande passo per l’umanità, verrebbe da dire, specie perché l’apporto delle tre donne protagoniste di “Il Diritto Di Contare” sarà fondamentale, in prospettiva, per permettere all’astronauta Neil Armstrong, di mettere piede sulla luna e scrivere così la Storia sia Americana che Nostra in generale.
Perché, anche se a molti potrebbe sfuggire, quello a disposizione di Melfi era un materiale enorme, prezioso, spontaneamente notevole, seppur colmo di tante insidie che fortunatamente il regista riesce ad eludere, limando gradualmente ogni insicurezza e forgiando, in progressiva, il carattere di una pellicola che tutto sommato, pur non roboando e salendo in cattedra, riesce a compiere il suo dovere, conquistando l'affetto e gli assensi del pubblico.

Tutto con l'essenzialità di una storia che dalla realtà decide di pescare i suoi guizzi migliori, romanzando quanto serve e rifiutando di trattare una tematica delicata, ormai fin troppo nota al cinema, con quel carattere accusatorio e arrabbiato che, di frequente, ultimamente, in molti vedono come chiave di volta fondamentale. Ignorando, come la matematica ci insegna, che ogni tanto per raggiungere il risultato corretto conviene affidarsi al ragionamento, alle teorie e a qualche piccolo calcolo sparso qua e la lungo le variabili e la complessità inesorabile dell'equazione.

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