Non è la solita commedia americana ambientata al liceo quella diretta dalla regista Kelly Fremon. Non è che a un certo punto, come d’incanto, l’impopolarità di Nadine - la protagonista diciassettenne interpretata magistralmente da Hailee Steinfeld - si rovescia facendole assaporare pro e contro di un centro d’attenzione che nella vita non ha mai avuto e che ha sempre invidiato al fratello. No, in “17 Anni (E Come Uscirne Vivi)” tutto questo non succede, anzi, piuttosto che migliorare i problemi di Nadine peggiorano, esasperandola fino all’eccesso e portandola addirittura a pensare al suicidio.
Nulla di tragico, sia chiaro, si resta comunque all’interno di toni leggeri, stemperati con grande piacere e maestria il più delle volte da un professore/mentore-suo-malgrado che ha le fattezze di Woody Harrelson e che non ha scrupoli a frenare ironicamente, e con pochissime battute, le incursioni che Nadine gli riserva puntualmente durante le sue pause pranzo: quelle in cui ne approfitta per sfogarsi di tutto ciò che la turba e che non gli sta bene della sua vita. Il fatto è che la ragazza vede nella sua figura la sostituzione naturale di quel padre, morto prematuramente, che a casa era l’unico riferimento capace di comprenderla e di sostenerla, nulla a che vedere con una madre che va avanti ad antidepressivi sin da quando lei era piccola e un fratello che, ai suoi occhi, è sempre stato il perfettino di casa, vincente e coccolato a prescindere. Fratello che adesso, come se non bastasse, ha deciso anche di fidanzarsi con la sua unica migliore amica, lasciandola praticamente sola a tenere testa ad un mondo che non fa altro che avercela a morte con lei, che proprio non la vuole smettere di girare sempre per gli altri e mai a suo favore e in cui resistere, quindi, sta diventando mestiere a dir poco insopportabile.
O perlomeno questo è il punto di vista di una diciassettenne assai simpatica, ma un po' stronzetta che, non (sempre) per colpa sua, nella vita, ha dovuto far fronte a determinate dinamiche che di certo non l'hanno aiutata a crescere in quella che superficialmente potrebbe essere chiamata maniera sana. Già, perché nella pellicola della Fremon, sebbene siano presenti parecchi elementi universalmente riconducibili a quell'età che dovrebbe anticipare la maturità più ampia e completa, è anche vero che esistono moltissime deviazioni e sfumature che iniziano e finiscono dentro il nucleo della famiglia protagonista: nella quale spicca, per autorità e influenza, il ruolo di una madre spesso sopra le righe, assente, o incapace di agire correttamente quando c'è da dire o da fare la cosa giusta. E' attraverso lei e la sua importanza, infatti, se "17 Anni (E Come Uscirne Vivi) " è costretto a uscire con un piede fuori da quel filone di opere sui liceali e i loro crucci che inizialmente sembrava voler affiancare; se tirando le somme, alla fine, risulta un ibrido, una commedia con striature drammatiche, tutt'altro che sorvolabili, che non minano l'intento principale di intrattenere il pubblico, ma seminano comunque degli indizi di contorno, impossibili da trascurare.
Perché rispetto a "Mean Girls" o al più recente "Easy Girl", se Nadine ha difficoltà a fare amicizia, a relazionarsi con gli altri e a percepire la vera realtà della situazione che la circonda non è colpa di un liceo composto da vari gruppi e sottogruppi che se non stai abbastanza attento, o non hai la pellaccia dura, rischiano di calpestarti o di masticarti vivo, bensì dell'assenza di quel punto fermo chiamato famiglia, su cui fare affidamento ogni qual volta hai bisogno di un consiglio o più semplicemente necessiti di un abbraccio. Quella colonna, quindi, che se nessuno ti ha insegnato a comprenderne l'importanza, a prendertene cura, o peggio ancora a individuare, è davvero il caso di fare uno sforzo, crescere, e ripiantare salda in terra una volta per tutte. Solo così, del resto, si diventa grandi e solo così, in fondo, si può (ri)cominciare a vivere.
Trailer:
Nulla di tragico, sia chiaro, si resta comunque all’interno di toni leggeri, stemperati con grande piacere e maestria il più delle volte da un professore/mentore-suo-malgrado che ha le fattezze di Woody Harrelson e che non ha scrupoli a frenare ironicamente, e con pochissime battute, le incursioni che Nadine gli riserva puntualmente durante le sue pause pranzo: quelle in cui ne approfitta per sfogarsi di tutto ciò che la turba e che non gli sta bene della sua vita. Il fatto è che la ragazza vede nella sua figura la sostituzione naturale di quel padre, morto prematuramente, che a casa era l’unico riferimento capace di comprenderla e di sostenerla, nulla a che vedere con una madre che va avanti ad antidepressivi sin da quando lei era piccola e un fratello che, ai suoi occhi, è sempre stato il perfettino di casa, vincente e coccolato a prescindere. Fratello che adesso, come se non bastasse, ha deciso anche di fidanzarsi con la sua unica migliore amica, lasciandola praticamente sola a tenere testa ad un mondo che non fa altro che avercela a morte con lei, che proprio non la vuole smettere di girare sempre per gli altri e mai a suo favore e in cui resistere, quindi, sta diventando mestiere a dir poco insopportabile.
O perlomeno questo è il punto di vista di una diciassettenne assai simpatica, ma un po' stronzetta che, non (sempre) per colpa sua, nella vita, ha dovuto far fronte a determinate dinamiche che di certo non l'hanno aiutata a crescere in quella che superficialmente potrebbe essere chiamata maniera sana. Già, perché nella pellicola della Fremon, sebbene siano presenti parecchi elementi universalmente riconducibili a quell'età che dovrebbe anticipare la maturità più ampia e completa, è anche vero che esistono moltissime deviazioni e sfumature che iniziano e finiscono dentro il nucleo della famiglia protagonista: nella quale spicca, per autorità e influenza, il ruolo di una madre spesso sopra le righe, assente, o incapace di agire correttamente quando c'è da dire o da fare la cosa giusta. E' attraverso lei e la sua importanza, infatti, se "17 Anni (E Come Uscirne Vivi) " è costretto a uscire con un piede fuori da quel filone di opere sui liceali e i loro crucci che inizialmente sembrava voler affiancare; se tirando le somme, alla fine, risulta un ibrido, una commedia con striature drammatiche, tutt'altro che sorvolabili, che non minano l'intento principale di intrattenere il pubblico, ma seminano comunque degli indizi di contorno, impossibili da trascurare.
Perché rispetto a "Mean Girls" o al più recente "Easy Girl", se Nadine ha difficoltà a fare amicizia, a relazionarsi con gli altri e a percepire la vera realtà della situazione che la circonda non è colpa di un liceo composto da vari gruppi e sottogruppi che se non stai abbastanza attento, o non hai la pellaccia dura, rischiano di calpestarti o di masticarti vivo, bensì dell'assenza di quel punto fermo chiamato famiglia, su cui fare affidamento ogni qual volta hai bisogno di un consiglio o più semplicemente necessiti di un abbraccio. Quella colonna, quindi, che se nessuno ti ha insegnato a comprenderne l'importanza, a prendertene cura, o peggio ancora a individuare, è davvero il caso di fare uno sforzo, crescere, e ripiantare salda in terra una volta per tutte. Solo così, del resto, si diventa grandi e solo così, in fondo, si può (ri)cominciare a vivere.
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