Un bambino resta intrappolato nel deserto all’interno di una macchina costruita secondo tecnologie di futura generazione. Fuori dall’abitacolo una madre disperata vorrebbe rimediare all’incidente senza però riuscire a trovare un modo per rendersi utile. I tentativi di infrangere il monolite nero su cui entrambi viaggiavano infatti sono del tutto vani e contrari al concetto di sicurezza che avrebbe dovuto proteggerli e farli viaggiare tranquilli. Un comfort che rischia ora di rivoltarsi contro di loro nel bel mezzo di un ambiente ostile che, con il passare dei minuti, non fa altro che aumentare le difficoltà, lasciando intendere che la questione possa solo finire in tragedia.
Anche se a leggere un incipit di questo tipo potrebbe sembrare, le intenzioni di “Monolith” non sono quelle di voler andare a sensibilizzare lo spettatore su dei fatti di cronaca recente che hanno visto madri (o genitori in generale) irresponsabili e/o distratte nei confronti dei loro figli. Nemmeno il mettersi a discutere di tecnologia e della lama a doppio taglio che, per natura, la contraddistingue sta alla base della pellicola diretta da Ivan Silvestrini che, ispirandosi a un soggetto (e a un fumetto) scritto da Roberto Recchioni, si appoggia ad entrambi i temi per analizzare da vicino la psicologia di una madre insicura, innamorata pazza del suo bambino, eppure per certi versi ancora aggrappata ad una vita precedente della quale non capisce se sentire la mancanza, o se invece è davvero pronta a mettersi alle spalle. Un conflitto privato che a livello narrativo viene affrontato senza forzare troppo la mano, con la Sandra protagonista che appare ancora malinconicamente attratta da quella vita da pop-star e ragazza libertina che ha dovuto abbandonare per dedicarsi al sacrificale e maturo mestiere di madre. Cambiamento di cui si proclama – davanti a un suo (ex) fan - orgogliosa e convinta, nonostante poi, in seguito, nel corso di un momento di debolezza, sembra quasi voler affermare - a noi - l'esatto contrario: tradendosi con uno sguardo nel quale è quasi visibile la speranza di una morte accidentale del figlio, vicino a ingoiare una di quelle biglie che, lei stessa ammette, non sa perché ha accettato di comprargli.
La tecnologia e la cronaca ecco che allora servono a “Monolith” più come due leve, come due mezzi necessari, e magari obbligatori, per giustificare un fine maggiormente nobile e far sì che tutto lo scheletro eretto possa apparire credibile senza alcun rischio di contestazione e penalizzazione nei confronti di storia e tensione. Un compito che fondamentalmente, dobbiamo ammettere, in parte gli riesce pure, concentratissimo nella sua scarsa durata di ottantacinque minuti a seguire uno schema piuttosto consolidato, all'interno del quale praticamente tutto è studiato per muoversi con coordinazione e nel verso giusto. Forse troppo ad esser sinceri, nel senso che difficilmente nella pellicola di Silvestrini si resta sorpresi o disorientati per via di un colpo di scena o di una svolta non letta in anticipo, magari in controtendenza con quel modello classico-buonista che a un certo punto, a tutti, traspare oltremodo nitido e lucente. Con un pizzico di estrosità aggiuntiva in fase di sceneggiatura è probabile che adesso staremmo qui a incensare un progetto italiano aggressivo e robusto, anziché accontentarci di sostenere che "Monolith" complessivamente fa il suo dovere, ha degli ottimi spunti, pur non assumendo mai un atteggiamento autoritario e ambizioso.
E ciò è un peccato che, oltre a limitarlo, gli impedisce soprattutto di poter fare la voce grossa e di rimescolare immediatamente le carte che vanno a gestire le convinzioni stantie, relative ad alcuni equilibri appartenenti alla nostra industria cinematografica. Quella che speriamo, chi lo sa, forse proprio grazie a un successo inaspettato - anche tiepido - di "Monolith", possa avvalersi in un futuro recente di più operazioni di questo tipo: visto che, comprese di tutti i loro difetti, operazioni del genere ci farebbero senz'altro più bene che male...
Trailer:
Anche se a leggere un incipit di questo tipo potrebbe sembrare, le intenzioni di “Monolith” non sono quelle di voler andare a sensibilizzare lo spettatore su dei fatti di cronaca recente che hanno visto madri (o genitori in generale) irresponsabili e/o distratte nei confronti dei loro figli. Nemmeno il mettersi a discutere di tecnologia e della lama a doppio taglio che, per natura, la contraddistingue sta alla base della pellicola diretta da Ivan Silvestrini che, ispirandosi a un soggetto (e a un fumetto) scritto da Roberto Recchioni, si appoggia ad entrambi i temi per analizzare da vicino la psicologia di una madre insicura, innamorata pazza del suo bambino, eppure per certi versi ancora aggrappata ad una vita precedente della quale non capisce se sentire la mancanza, o se invece è davvero pronta a mettersi alle spalle. Un conflitto privato che a livello narrativo viene affrontato senza forzare troppo la mano, con la Sandra protagonista che appare ancora malinconicamente attratta da quella vita da pop-star e ragazza libertina che ha dovuto abbandonare per dedicarsi al sacrificale e maturo mestiere di madre. Cambiamento di cui si proclama – davanti a un suo (ex) fan - orgogliosa e convinta, nonostante poi, in seguito, nel corso di un momento di debolezza, sembra quasi voler affermare - a noi - l'esatto contrario: tradendosi con uno sguardo nel quale è quasi visibile la speranza di una morte accidentale del figlio, vicino a ingoiare una di quelle biglie che, lei stessa ammette, non sa perché ha accettato di comprargli.
La tecnologia e la cronaca ecco che allora servono a “Monolith” più come due leve, come due mezzi necessari, e magari obbligatori, per giustificare un fine maggiormente nobile e far sì che tutto lo scheletro eretto possa apparire credibile senza alcun rischio di contestazione e penalizzazione nei confronti di storia e tensione. Un compito che fondamentalmente, dobbiamo ammettere, in parte gli riesce pure, concentratissimo nella sua scarsa durata di ottantacinque minuti a seguire uno schema piuttosto consolidato, all'interno del quale praticamente tutto è studiato per muoversi con coordinazione e nel verso giusto. Forse troppo ad esser sinceri, nel senso che difficilmente nella pellicola di Silvestrini si resta sorpresi o disorientati per via di un colpo di scena o di una svolta non letta in anticipo, magari in controtendenza con quel modello classico-buonista che a un certo punto, a tutti, traspare oltremodo nitido e lucente. Con un pizzico di estrosità aggiuntiva in fase di sceneggiatura è probabile che adesso staremmo qui a incensare un progetto italiano aggressivo e robusto, anziché accontentarci di sostenere che "Monolith" complessivamente fa il suo dovere, ha degli ottimi spunti, pur non assumendo mai un atteggiamento autoritario e ambizioso.
E ciò è un peccato che, oltre a limitarlo, gli impedisce soprattutto di poter fare la voce grossa e di rimescolare immediatamente le carte che vanno a gestire le convinzioni stantie, relative ad alcuni equilibri appartenenti alla nostra industria cinematografica. Quella che speriamo, chi lo sa, forse proprio grazie a un successo inaspettato - anche tiepido - di "Monolith", possa avvalersi in un futuro recente di più operazioni di questo tipo: visto che, comprese di tutti i loro difetti, operazioni del genere ci farebbero senz'altro più bene che male...
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