Belli e (im)Possibili: It Comes At Night - La Recensione

It Comes At Night Edgerton
Tolta la sequenza iniziale - in cui assistiamo alla dipartita di quello che poi scopriamo essere il suocero di Joel Edgerton – in “It Comes At Night” non ci sono praticamente tracce di quel virus che, si dice, stia decimando la popolazione. E questo perché nella pellicola di Trey Edward Shults – alla sua opera seconda - il terrore più che manifestarsi visivamente lo si percepisce, lo si avverte nascosto tra quei boschi che dividono questa famiglia di moglie, marito e figlio diciassettenne dalla civiltà; da quella porta rossa che li sigilla nella loro casa sperduta; dalle maschere anti-gas che devono indossare ogni qual volta si trovano a contatto con qualcosa che non sia la certezza di loro tre o il cane.
E forse, questo, è un indizio da non sottovalutare.

Il male c’è, ma non si vede, ci fanno capire. Esiste perché in qualche modo ha colpito, ha fatto vittime, e a dirlo non è solo qualcuno - e quindi una sparuta minoranza - bensì chiunque sia fortunato ad essere ancora tra i sopravvissuti. Ricorda un po' “The Walking Dead” senza zombie, allora, “It Comes At Night”, che da quella serie, oltre alle atmosfere (forse addirittura più cupe) e ai territori sembra aver rubato anche lo spunto della fiducia verso il prossimo precaria e alle corde: quella fiducia che non ti puoi permettere quando hai una famiglia da proteggere; che è sempre meglio tenere da parte se hai a che fare con degli estranei - che, per giunta, hai conosciuto mentre stavano per sfondarti la porta di casa a sprangate - e, soprattutto, non ti puoi permettere, perché in pochi possono immaginare cosa è capace di fare un essere umano in stato di disperazione. Tuttavia, come Rick Grimes, il Paul di Edgerton alla fine sceglie di cedere, di perdonare quest’uomo di famiglia che andava cercando provviste all'avventura e, nonostante i dubbi, forti, a tratti fortissimi, di accoglierlo nella sua casa assieme alla rispettiva compagna e al figlioletto, visto che - come la moglie giustamente gli ricorda - in tempi bui come questi è meglio restare uniti che divisi.

It Comes At Night FilmEppure - ma c’era da aspettarselo, è proprio nel momento di maggior speranza che la pellicola di Shults decide di aumentare le dosi di suspense e di agitazione; proprio quando la routine tenebrosa della famiglia presentata all'inizio sembra fortunatamente spezzarsi e garantire - con l’entrata in scena dei nuovi coinquilini - un minimo di ritorno a quella condivisione e a quello scambio che poi è principio fondamentale di umanità e di sviluppo. Qui, precisamente, avviene il mutamento che converte il survival-movie cucito in avvio, nel thriller-psicologico che vedremo ampliarsi e ingigantirsi fino alla fine: con la camera che con nonchalance va spesso a cercare i primi piani del giovane adolescente Travis, catturando sia i turbamenti che lo invadono rispetto a un futuro probabilmente compromesso e sia le pulsioni sessuali provate nei confronti della new-entry donna, per evidenti motivi, a lui non accessibile. Tutti istinti primordiali che a forza di reprimersi e contenersi sfociano nel subconscio del ragazzo in incubi tetri e vagamente premonitori, con la situazione generale che man mano si aggrava davvero, arricchendosi di interrogativi e di incertezze e attirando, inevitabilmente, quel male invisibile al cospetto della tanto inquietante, nonché designata, porta rossa.

Un twist che Shults scrive e utilizza, però, non per dare allo spettatore ciò che lui si aspetta e finalmente vorrebbe vedere, ma per affermare quella che potrebbe essere letta come anima politica e, di fatto, unica del suo film: ovvero quella che lo conduce ad abbracciare una conclusione discutibile, indecifrabile(?) e angusta (in più di un senso), che trova significato e senso solo se ci si riflette su e la si va a guardare dal suo punto di vista metaforico. Un punto di vista che, magari, a livello di ambizioni non è esattamente alla portata di una sceneggiatura come quella di “It Comes At Night”, ma che, una volta scovato e messo a fuoco, porta con sé tutta l’amarezza e l'angoscia dell’America moderna. O, come già qualcuno ha sentenziato, dell'America Trumpiana.

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