Ha un non so’ che di malickiano la forma con cui il regista David Lowery ha deciso di raccontare il suo “A Ghost Story”. Non tanto per via di una filosofia che nel suo film c’è, seppur in maniera ridottissima: limitata a un monologo negativista nel quale, con cinismo, un uomo un po’ alticcio smorza entusiasmo ad una festa tirando fuori un discorso cinico, ma neppure troppo sbagliato, sul tempo, la condizione dell’uomo sulla terra e un destino inevitabile. A ricordare il regista di “The Tree Of Life” nel suo film sono più che altro, infatti, i totali dedicati spesso ai paesaggi, la luce naturale che entra dalle finestre della villetta dove praticamente tutto si svolge e quei piani sequenza riservati a Rooney Mara, in cui è vero che a mancare è il flusso di coscienza, ma è altrettanto vero che a poco sarebbe servito considerata la situazione.
Ciò che pensa, innervosisce e turba l’attrice, del resto, non è un mistero, anzi, la presenza del fantasma, onnipresente in scena, interpretato (in teoria!) da Casey Affleck - avvolto da un lungo lenzuolo con due buchi neri a fare da occhi - rende l’intero conflitto piuttosto esplicito e indipendente alle parole: un incidente stradale ha portato via alla donna l’amore della sua vita, che a quanto pare, come “Il Sesto Senso” insegnava, è rimasto sulla terrà, al suo fianco, per qualcosa in sospeso da risolvere. Che cosa sia però non lo sa ancora questo strano e buffo fantasma e perciò resta lì, fermo, immobile a spiare la persona che ama in attesa che il suo destino si compia o che qualcuno gli dia risposte. Questo mentre il tempo passa e da un secondo all'altro ci troviamo avanti di minuti, ore, anni, con questa dimora che cambia padroni, estetica e funzione, subendo l’avanzata di un futuro sempre più consolidato che a un certo punto sembra addirittura compiere un giro circolare completo, sulla sua linea, tornando quindi a ripercorrere il passato.
Dal titolo daremmo tutti per scontato che si tratti di un horror “A Ghost Story”, restando spiazzati, magari, quando si comincia a intuire che quelle di Lowery sono intenzioni completamente diverse, a prescindere dalle apparenze. Il suo è un film romantico, prima di tutto, un film dove un uomo non accetta la fine che ha dovuto subire e come era legato ai ricordi quando era in vita, così continua ad agire post-mortem, piantandosi prepotentemente laddove aveva vissuto i momenti migliori della sua esistenza e reagendo sfavorevolmente a ogni genere di cambiamento. Un calore e una sensibilità che, nonostante la maschera, vengono fuori con forza e intensità dal fantasma protagonista, il quale pur senza uso dell’espressività facciale riesce coi suoi primi piani a comunicare sempre allo spettatore la sua impotenza e lo stato d’animo che sta provando: un senso di fragilità e dispiacere che, ad un certo punto, si dimostra capace di trasformarsi però anche in rabbia e cattiveria, in una scena spaventosissima dove l’horror prende il sopravvento, gelando il sangue.
Cattiva non lo è mai tuttavia quest’anima in pena, quest’ectoplasma raffigurato quasi in maniera infantile a cui resta impossibile abbandonare il suo comportamento umano e svanire. Per cui non ci pesa poi molto, farci accompagnare da Lowery in questo lento viaggio (rigorosamente in 4:3) verso il compimento del suo vagare, verso quelle risposte che nessuno pare riuscire a dargli e che arrivano, come di solito fanno, senza alcun preavviso. Di colpo. Come una porta che sbatte di notte. O, meglio ancora, un piano che suona.
Trailer:
Ciò che pensa, innervosisce e turba l’attrice, del resto, non è un mistero, anzi, la presenza del fantasma, onnipresente in scena, interpretato (in teoria!) da Casey Affleck - avvolto da un lungo lenzuolo con due buchi neri a fare da occhi - rende l’intero conflitto piuttosto esplicito e indipendente alle parole: un incidente stradale ha portato via alla donna l’amore della sua vita, che a quanto pare, come “Il Sesto Senso” insegnava, è rimasto sulla terrà, al suo fianco, per qualcosa in sospeso da risolvere. Che cosa sia però non lo sa ancora questo strano e buffo fantasma e perciò resta lì, fermo, immobile a spiare la persona che ama in attesa che il suo destino si compia o che qualcuno gli dia risposte. Questo mentre il tempo passa e da un secondo all'altro ci troviamo avanti di minuti, ore, anni, con questa dimora che cambia padroni, estetica e funzione, subendo l’avanzata di un futuro sempre più consolidato che a un certo punto sembra addirittura compiere un giro circolare completo, sulla sua linea, tornando quindi a ripercorrere il passato.
Dal titolo daremmo tutti per scontato che si tratti di un horror “A Ghost Story”, restando spiazzati, magari, quando si comincia a intuire che quelle di Lowery sono intenzioni completamente diverse, a prescindere dalle apparenze. Il suo è un film romantico, prima di tutto, un film dove un uomo non accetta la fine che ha dovuto subire e come era legato ai ricordi quando era in vita, così continua ad agire post-mortem, piantandosi prepotentemente laddove aveva vissuto i momenti migliori della sua esistenza e reagendo sfavorevolmente a ogni genere di cambiamento. Un calore e una sensibilità che, nonostante la maschera, vengono fuori con forza e intensità dal fantasma protagonista, il quale pur senza uso dell’espressività facciale riesce coi suoi primi piani a comunicare sempre allo spettatore la sua impotenza e lo stato d’animo che sta provando: un senso di fragilità e dispiacere che, ad un certo punto, si dimostra capace di trasformarsi però anche in rabbia e cattiveria, in una scena spaventosissima dove l’horror prende il sopravvento, gelando il sangue.
Cattiva non lo è mai tuttavia quest’anima in pena, quest’ectoplasma raffigurato quasi in maniera infantile a cui resta impossibile abbandonare il suo comportamento umano e svanire. Per cui non ci pesa poi molto, farci accompagnare da Lowery in questo lento viaggio (rigorosamente in 4:3) verso il compimento del suo vagare, verso quelle risposte che nessuno pare riuscire a dargli e che arrivano, come di solito fanno, senza alcun preavviso. Di colpo. Come una porta che sbatte di notte. O, meglio ancora, un piano che suona.
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Film assurdo!
RispondiEliminaMolto particolare e originale e, nonostante alcuni momenti di noia, si arriva alla fine di questo lento viaggio con la sensazione di aver assistito a qualcosa di speciale.
Di Lowery avevo trovato malickiano, molto malickiano, il precedente Senza santi in Paradiso, questo invece non molto. Adesso che mi ci hai fatto pensare però in effetti lo è un pochino anche questo...
Il precedente non l'ho visto, magari ora finisce che lo recupero. Io di lui vidi "Il Drago Invisibile", ma li fu davvero un lavoro su commissione dove non credo abbia potuto metterci del suo. A prescindere dal modestissimo obiettivo di quel film! ;)
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