Partiamo da un presupposto: secondo chi scrive, “It”, è il capolavoro letterario di Stephen King.
Un’opera gigantesca, intensa e così profonda da non poter continuare ad avere come riferimento cinematografico, o televisivo che sia, la famosa mini-serie anni ’90 con Tim Curry che - al di là delle vittime che fece all'epoca e che ancora oggi non perdono occasione per ricordare quanto la loro infanzia sia stata terrorizzata fortemente da quel pagliaccio – quasi per niente era stata capace di restituire agli spettatori le stesse emozioni e gli stessi brividi contenuti in quel blocco di carta, dalle oltre mille pagine, che solo chi era stato in grado di affrontare poteva capire.
Nessuna sorpresa, dunque, se la notizia di questo nuovo adattamento era stata accolta con innaturale clamore e piacere, con l’entusiasmo anomalo di chi sapeva che da quel romanzo si poteva tirar fuori di meglio, largamente di meglio: tant'è che stavolta l'apprensione non era tanto quella di riuscire ad ottenere un prodotto superiore al precedente, quanto quella di avere in Andres Muschietti la persona adatta a compiere il miracolo di realizzare il film definitivo di “It”. Miracolo che – con riserva di una seconda parte già annunciata, in uscita nel 2019 – potremmo dire parzialmente riuscito, perché nonostante alcuni tagli che ci aspettavamo (fisiologici, per certi versi) e alcuni cambiamenti che avremmo voluto (almeno noi legati al romanzo) non fossero stati mai apportati, l’esperienza visiva di questa nuova versione è ugualmente totale, appassionante e sincera. Un risultato che in grandissima parte viene da una storia che di suo è di per sé abbastanza robusta da imporre naturalmente la propria indole e la propria potenza, che incarna come solo pochi sanno fare quello spirito anni ’80 tipico di titoli come “Stand By Me” o del più recente “Stranger Things”, ma che - e va detto - Muschietti è abile ad esaltare, mettendoci dentro del suo, grazie a una regia che paradossalmente lo vede sempre al servizio del racconto e mai interessato a imprimere il suo ego su di esso. Neanche fosse uno di noi, insomma, uno di quelli che, avendo (probabilmente) letto il libro, ha il massimo interesse a rimanergli fedele, a mantenerne le viscere, se non in tutti i passaggi quantomeno sotto l'aspetto riguardante il calore e le suggestioni più intime: in particolare legate a una paura che ruota attorno a questi bambini, impreparati ad affrontare la loro adolescenza e il loro cammino, ma che nell'unione trovano la forza di reagire (e crescere) sfidando un mostro (il loro mostro) che non vede l'ora di sopraffarli.
Un coming-of-age tra le pieghe, eppure un horror (mainstream) vero e proprio nella forma. Questo almeno se consideriamo che Muschietti - pur mettendo Pennywise sullo sfondo e restando sempre al fianco dei suoi teneri protagonisti - non rinuncia quasi mai al terrore, limitando forse un tantino la cupezza d'origine, ma non lesinando affatto su quei momenti agghiaccianti, visivamente impressionanti, in cui attraverso varie forme il male va ad irrompere in scena non dando mai, di fatto, pace allo spettatore: il quale è costretto sempre a tenere tirata la sua tensione, trovando riposo solo nelle battute finali, quando il primo spaccato del film sarà compiuto e verrà operata la cesura utile a ciò che andremo a vedere in futuro. Taglio peraltro, questo, molto discusso inizialmente, che sembrava complicato e non fattibile stando all'alternanza presente/passato rigorosa scelta da King alla radice: quella che qui, invece, viene scissa preservando l'intera parte adulta per il capitolo conclusivo (che dalle voci dovrebbe comunque essere misto). Un gesto rivoluzionario, a suo modo, che con le dovute modifiche apportate, tuttavia, non lascia nemmeno l'ombra di un intralcio, sorretto dal coinvolgimento e il passo di una pellicola che se sbaglia dei colpi sono comunque meno rispetto a quelli che mette a segno.
Oltre a saltare dalla poltrona e a restarci seduti mai rilassati, ci si commuove e ci si diverte infatti in "It", e ciò succede praticamente ogni volta che viene inserito un tassello determinante alla composizione e all'unione (poi cementata col sangue) di quel club dei perdenti che lentamente entra nei nostri cuori fino quasi a inglobarci al suo interno, rendendoci acuti partecipi di ogni vittoria come anche di ogni sconfitta (e a proposito di questo vale la pena ricordare quanto la presentazione di Ben resti uno dei momenti migliori di tutto il film). Un risultato ottimo, quindi, che avrebbe potuto senz'altro essere superiore, ma che sentiamo di prenderci senza voler fare troppo gli schizzinosi. Perché, per esperienza vissuta, siamo consapevoli che poteva andarci anche molto, ma molto peggio.
Insomma, per dirla come Vincent Vega direbbe a Jules: "Si, siamo contenti!"
Trailer:
Un’opera gigantesca, intensa e così profonda da non poter continuare ad avere come riferimento cinematografico, o televisivo che sia, la famosa mini-serie anni ’90 con Tim Curry che - al di là delle vittime che fece all'epoca e che ancora oggi non perdono occasione per ricordare quanto la loro infanzia sia stata terrorizzata fortemente da quel pagliaccio – quasi per niente era stata capace di restituire agli spettatori le stesse emozioni e gli stessi brividi contenuti in quel blocco di carta, dalle oltre mille pagine, che solo chi era stato in grado di affrontare poteva capire.
Nessuna sorpresa, dunque, se la notizia di questo nuovo adattamento era stata accolta con innaturale clamore e piacere, con l’entusiasmo anomalo di chi sapeva che da quel romanzo si poteva tirar fuori di meglio, largamente di meglio: tant'è che stavolta l'apprensione non era tanto quella di riuscire ad ottenere un prodotto superiore al precedente, quanto quella di avere in Andres Muschietti la persona adatta a compiere il miracolo di realizzare il film definitivo di “It”. Miracolo che – con riserva di una seconda parte già annunciata, in uscita nel 2019 – potremmo dire parzialmente riuscito, perché nonostante alcuni tagli che ci aspettavamo (fisiologici, per certi versi) e alcuni cambiamenti che avremmo voluto (almeno noi legati al romanzo) non fossero stati mai apportati, l’esperienza visiva di questa nuova versione è ugualmente totale, appassionante e sincera. Un risultato che in grandissima parte viene da una storia che di suo è di per sé abbastanza robusta da imporre naturalmente la propria indole e la propria potenza, che incarna come solo pochi sanno fare quello spirito anni ’80 tipico di titoli come “Stand By Me” o del più recente “Stranger Things”, ma che - e va detto - Muschietti è abile ad esaltare, mettendoci dentro del suo, grazie a una regia che paradossalmente lo vede sempre al servizio del racconto e mai interessato a imprimere il suo ego su di esso. Neanche fosse uno di noi, insomma, uno di quelli che, avendo (probabilmente) letto il libro, ha il massimo interesse a rimanergli fedele, a mantenerne le viscere, se non in tutti i passaggi quantomeno sotto l'aspetto riguardante il calore e le suggestioni più intime: in particolare legate a una paura che ruota attorno a questi bambini, impreparati ad affrontare la loro adolescenza e il loro cammino, ma che nell'unione trovano la forza di reagire (e crescere) sfidando un mostro (il loro mostro) che non vede l'ora di sopraffarli.
Un coming-of-age tra le pieghe, eppure un horror (mainstream) vero e proprio nella forma. Questo almeno se consideriamo che Muschietti - pur mettendo Pennywise sullo sfondo e restando sempre al fianco dei suoi teneri protagonisti - non rinuncia quasi mai al terrore, limitando forse un tantino la cupezza d'origine, ma non lesinando affatto su quei momenti agghiaccianti, visivamente impressionanti, in cui attraverso varie forme il male va ad irrompere in scena non dando mai, di fatto, pace allo spettatore: il quale è costretto sempre a tenere tirata la sua tensione, trovando riposo solo nelle battute finali, quando il primo spaccato del film sarà compiuto e verrà operata la cesura utile a ciò che andremo a vedere in futuro. Taglio peraltro, questo, molto discusso inizialmente, che sembrava complicato e non fattibile stando all'alternanza presente/passato rigorosa scelta da King alla radice: quella che qui, invece, viene scissa preservando l'intera parte adulta per il capitolo conclusivo (che dalle voci dovrebbe comunque essere misto). Un gesto rivoluzionario, a suo modo, che con le dovute modifiche apportate, tuttavia, non lascia nemmeno l'ombra di un intralcio, sorretto dal coinvolgimento e il passo di una pellicola che se sbaglia dei colpi sono comunque meno rispetto a quelli che mette a segno.
Oltre a saltare dalla poltrona e a restarci seduti mai rilassati, ci si commuove e ci si diverte infatti in "It", e ciò succede praticamente ogni volta che viene inserito un tassello determinante alla composizione e all'unione (poi cementata col sangue) di quel club dei perdenti che lentamente entra nei nostri cuori fino quasi a inglobarci al suo interno, rendendoci acuti partecipi di ogni vittoria come anche di ogni sconfitta (e a proposito di questo vale la pena ricordare quanto la presentazione di Ben resti uno dei momenti migliori di tutto il film). Un risultato ottimo, quindi, che avrebbe potuto senz'altro essere superiore, ma che sentiamo di prenderci senza voler fare troppo gli schizzinosi. Perché, per esperienza vissuta, siamo consapevoli che poteva andarci anche molto, ma molto peggio.
Insomma, per dirla come Vincent Vega direbbe a Jules: "Si, siamo contenti!"
Trailer:
dicono che sia bello, io comunque prima voglio vedere l'it del 1990, e poi do una sbirciatina a questo ^^
RispondiEliminami sembra giusto! ;)
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