The Big Sick - La Recensione

The Big Sick Nanjiani
Leggere il nome di Judd Apatow tra i produttori di “The Big Sick” è un’informazione che filtra in maniera quasi naturale, scontata, perché un certo tipo di rom-com, in America, le ha sdoganate lui, rivoluzionando completamente e per sempre quelli che erano gli standard scarichi di un vecchio prototipo che nessuno trovava ancora il coraggio di smontare, analizzare e rinnovare.

Un occhio lungo e un istinto acuminato, quindi, che ha contribuito ad accendergli più di una lampadina nel cervello quando l'attore, stand-up comedian e sceneggiatore pakistano Kumail Nanjiani - durante vari incontri di lavoro per altri progetti - finì col raccontargli la vera storia con la quale aveva conosciuto e sposato la moglie americana: una di quelle che una volta ascoltata non puoi fare altro che insistere affinché il cinema ci metta le mani sopra, condividendola col mondo. Sembra frutto di uno sceneggiatore folle e lungimirante, infatti, "The Big Sick", di uno di quei portenti che per brillantezza e originalità vorresti cominciare a monitorare e a non perdere di vista; della serie che una volta appurato che stiamo parlando di vita vissuta e non di pura fantasia, dentro hai la strana sensazione che ciò non sia corretto, che sia una nota stonata, un punto a sfavore. Eppure è tutto il contrario, perché quella composta da Nanjiani assieme a sua moglie Emily Gordon - sostituita sullo schermo, al fianco del marito che interpreta sé stesso, da Zoe Kazan - è una storia talmente sincera, onesta e radicata nel nostro tempo dalla quale si può rimanere solamente coinvolti, incantati e, infine, innamorati. Merito di una narrazione per nulla convenzionale in cui, al di là dell’amore, viene lasciato molto spazio per trattare in maniera non banale tematiche sociali e d'integrazione legate alla multicultura statunitense, vista sia dalla parte dello straniero e sia dall’interno: con attriti e differenze, per lo più dovute alla religione, inevitabilmente responsabili di contaminare relazioni sentimentali come anche interpersonali.

The Big Sick KazanTutto scaturisce dal grande malato del titolo, cioè l’Emily portata in coma farmacologico dall’ospedale, di punto in bianco, a causa di un virus ai polmoni di natura sconosciuta da contrastare all'istante. Kumail si ritrova coinvolto nella faccenda praticamente per caso, chiamato in fretta e furia al telefono da un’amica della ragazza, nonostante già da un pezzo i due avessero interrotto i rapporti per questioni legate a un futuro insieme, a quanto pare, impossibile. La lotta di Emily tra la vita e la morte però diventa spontaneamente, per lui, uno stimolo per affrontare se stesso e gli altri, per conoscere i genitori di lei - prima evitati - e confessare, poi, ai suoi quelle verità che, per paura, aveva cercato ogni volta di reprimere o di nascondere sotto il tappeto.
Cambiamento e maturazione che “The Big Sick” affronta tramite un equilibrio e un’umanità disarmanti; oscillando con maestria tra la serietà di chi è consapevole di avere tra le mani ambizioni considerevoli, da non gettare alle ortiche, e l’umorismo di chi, in quanto stand-up comedian (e vi prego, vi prego non traducetelo con cabarettista), non può prescindere dall’essere, all’occorrenza, tagliente e caustico con le battute: andando a colpire lo spettatore in contropiede e tramortendolo in un paio d’occasioni (la battuta sull'11 Settembre è tra le migliori mai sentite).

Crediti da non sottovalutare, nei quali è contenuta l’intera sensibilità di una pellicola straordinaria e autentica, probabilmente da collocare tra le migliori commedie romantiche americane degli ultimi dieci, o quindici anni.
Di quelle visioni, per intenderci, che ti spiazzano e ti scaldano il cuore, restandoti dentro senza mollarti, per farti capire che, forse, un giorno avrai nuovamente bisogno di loro.

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