The Greatest Showman - La Recensione

The Greatest Showman JackmanLo spirito del musical vuole incarnarlo tutto “The Greatest Showman”, mettendo al primo posto lo spettacolo, l’intrattenimento, le coreografie danzanti e il canto. Un’impostazione che per il personaggio che racconta - il P.T. Barnum di Hugh Jackman, creatore dello show business – sembrerebbe addirittura l’unica possibile e la più logica da adottare, sebbene da un certo punto di vista – quello più ricercato – è anche la più semplice e la meno rischiosa.

Mettono in piedi una festa, il regista esordiente Michael Gracey e Jackman (che praticamente gli ha fatto da sponsor scegliendolo per il progetto), una festa architettata in maniera piuttosto canonica, ma travolgente, dove ogni invitato può scommettere di divertirsi dall'inizio alla fine, trainato dai numeri pirotecnici esercitati in scena e da una colonna sonora azzeccata, firmata da Justin Paul e Benji Pasek, già premi Oscar per “La La Land”. Per quanto riguarda la sceneggiatura, intesa nel suo senso più classico, però, “The Greatest Showman” risulta un pochino più approssimativo: abbastanza convincente (quanto scontato) quando deve addentrarsi nella voglia di riscatto sociale di Barnum - il quale all'improvviso non si accontenta più di essere riuscito a trasformare in realtà i suoi sogni, ma sente il bisogno di trovare per forza un modo per farsi accettare da quell’alta borghesia che continua a vederlo dall'alto verso il basso – ma molto meno acuto e appassionato nel maneggiare la tematica della diversità – peraltro attualissima – che vede coinvolte le freaks-star del Circo, alle prese con una luce della ribalta che non credevano possibile da una parte e con una frangia di popolo che continua a minacciarli e ad aggredirli, facendoli sentire inadeguati e sbagliati, dall'altra.
Ecco, questa poteva essere una sottotrama importantissima da gestire, una di quelle in grado di andare a stravolgere completamente la traiettoria di un opera che invece sceglie, volontariamente - secondo chi scrive - di non esporsi troppo, optando per una pista meno azzardata da battere e capace di garantire certezze assolute.

The Greatest Showman Michelle WilliamsOggettivamente allora la pellicola di Gracey pur non scendendo mai in profondità – se non forse nei testi delle canzoni – decolla lo stesso, a volte magari perde un tantino quota, è vero, ma nel complesso è bravissima a mantenere uno standard armonico e frizzante tipico di chi ha studiato il genere e in particolare il suo riferimento principe (specialmente oggi), – soprattutto per l’euforia contenuta – ovvero il “Moulin Rouge!” di Baz Luhrmann. Un paragone che regge, tuttavia, solo perché stabilito alla lontana e con cautela, nello specifico in quella voglia smodata di arricchire la scena con elementi imponenti e sgargianti e in una cultura pop che torna a dominare, erogando colore e vigore al contesto.
Un modo scaltro e decisamente pratico, con cui suggestionare e conquistare lo spettatore, che sembra essere stato preso in prestito da Barnum in persona: uno dei primi in assoluto a sperimentare l’arte dell’illusione, a metà ‘800, mettendo in piedi show stracolmi di personalità bizzarre e numeri incredibili, che nascondevano, però, sotto di loro, sempre creativi espedienti.

Il risultato comunque, anche qui, è quello dell’applauso scrosciante, che può esser caldo o leggermente più tiepido a seconda della sala, ma che comunque testimonia che sia Jackman, sia Gracey hanno saputo cogliere e riadoperare con grande mestiere i consigli di un personaggio obiettivamente - per quanto romanzato dal film - abile a intercettare i gusti e le fantasie del (suo) pubblico, ancor prima che quest’ultimo se ne rendesse conto.

Trailer:

Commenti

  1. visto e mi è piaciuto anche parecchio, prossimamente la rece da me xD

    RispondiElimina

Posta un commento