Fahrenheit 11/9 - La Recensione

Fahrenheit 11/9 Michael Moore
L’apertura è quella che un po’ ti aspetti: con telegiornali, Star ed esperti in materia che sottovalutano la gravità del pericolo in essere e battezzano Hillary Clinton nuova presidente – la prima donna della Storia – degli Stati Uniti d’America, ancora prima del verdetto finale. La musica in sottofondo, quando arriva, è quella da film horror. Mentre la domanda – pronunciata dopo le prime parole di Donald Trump da vincitore - è l’unica possibile: ma come cazzo è potuto accadere?

Eppure non è su Trump che “Fahrenheit 11/9” ha intenzione di mettere le mani. Lo dice chiaramente, a un certo punto, Michael Moore: “Trump non è Il problema, ma la conseguenza dei problemi di un sistema da riparare!”. Il suo documentario, infatti, del 45esimo Presidente a stelle e strisce ne parla - confezionandone un ritratto esaustivo, quanto imbarazzante - ma lo fa meno, comunque, di quanto ci si aspetti. E il motivo è racchiuso nel fatto che, adesso - presa nota di come si sono messe le cose e in che direzione ci stanno portando - più che schernire e sottolineare l’inadeguatezza di un uomo al potere è importante mettere dei puntini sulle i che, probabilmente, alcuni - se non la maggior parte, addirittura – stanno sottovalutando. Se c’è da prendersela con qualcuno, allora, bisognerebbe partire dai democratici, forse, dalla disonestà che li ha spinti a ignorare il voto del popolo - che alle primarie del 2016 aveva scelto Bernie Sanders, salvo poi vedersi ufficializzare, a sorpresa, la controparte Clinton – per assecondare le decisioni di una cerchia ristretta di rappresentanti che, di fatto, stavano comunicando a tutti il messaggio di un elettorato inutile e da prendere in giro. C’è da prendersela con Obama, che nello scandalo dell’acqua avvelenata di Flint - ad opera del Governatore Rick Snyder (amico di Trump) - anziché agire da Presidente e salvare la vita dell’intera comunità coinvolta, si è lasciato andare a uno show da quattro soldi, rilanciando dopo, con un bombardamento sulla città a scopo di test militari.

Fahrenheit 11/9 Insomma, non c’è da stupirsi se il partito con più elettori, in America, oggi è quello di coloro che non vanno a votare. Quello di coloro che sono rimasti delusi. E che, rifiutandosi di pronunciarsi, permettono a una minoranza – magari quella sbagliata – di farsi voce grossa e vincere le elezioni. Una questione decisamente meno radicata di ciò che sembra, non molto distante a quella della scena politica italiana o di altri paesi europei e mondiali: con un fascismo in costante ascesa che non ci spaventa come, in teoria, dovrebbe perché crediamo che a proteggersi possa esserci il muro indissolubile di una costituzione. Un muro che Moore abbatte in quattro e quattr’otto quando monta l’audio del discorso di Trump sulle immagini di quello di Hitler, allarmandoci che proprio quest’ultimo non ebbe poi troppi problemi, all’epoca, nel farsi beffe di determinate regole per giungere in fondo ai suoi scopi.

Roba da farsi venire i brividi. Un’urgenza alla quale è necessario rispondere immediatamente e con veemenza. Ma come?

La speranza, ci dice “Fahrenheit 11/9”, è nei giovani, nel partito – che negli Stati Uniti è già in essere – di chi ha deciso di reagire all’incompetenza politica degli adulti – che sono quelli, poi, che hanno contribuito a donarci la crisi e il futuro precario che stiamo vivendo – e di riuscire laddove loro hanno evidenziato di non essere più in grado di fare la differenza. Un percorso lungo, certo, che ha bisogno del suo tempo, ma che – e a vedere la tigna e la preparazione di alcuni, c’è da crederci – appare come il maggiormente plausibile per contrastare una regressione politica prodotta da rabbia e da odio, sulla quale abbiamo perso (tutti) il privilegio di chiederci: ma come cazzo è potuto accadere?!
E la consapevolezza di questo, “Fahrenheit 11/9”, ce la elargisce sontuosamente, attraverso la consueta ironia, approfondimento e competenza tipici del suo regista; tirandoci addosso un’ondata di ansia doverosa che colpisce come un cazzotto, ma da cui abbiamo il dovere (umano e morale) di farci svegliare per ripartire.

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