Non sono più quelli di una volta.
Lo dicono spesso, D’Artagnan, Athos, Aramis e Porthos, sia quando stanno per essere reclutati per conto della Regina Anna, e sia quando - partiti in missione per la Francia - si accorgono di essere cambiati profondamente, invecchiati male: tristi, infelici, acciaccati e aggrappati a un passato da cui si sarebbero aspettati maggior riconoscenza. Questo perché prende (libero) spunto da Vent’Anni Dopo, Giovanni Veronesi, il secondo romanzo di Alexandre Dumas sui Moschettieri, ambientato nella metà del 1600, quando il Re Luigi XIV era ancora troppo giovane per governare e a esercitare il potere c'era il Cardinale Giulio Mazzarino.
Una rivisitazione in chiave comica – stracolma di licenze poetiche – che Veronesi teneva nel cassetto dagli anni ’80, rimandata per problemi di casting, ma realizzata, forse, nel periodo storico più opportuno, se consideriamo anche certi riferimenti (sottili) che il regista si prende il lusso (e il rischio) di toccare. Devono salvare gli Ugonotti dalla repressione dei Cattolici, infatti, questi Moschettieri; contrastare le politiche spietate e violente di un tiranno, nei confronti di una minoranza a cui non è concessa la libertà di pensarla diversamente: ed ecco che il pensiero va subito ai migranti, a quegli scontri culturali quotidiani, appartenenti alla stretta cronaca recente. Come accennato, però, “Moschettieri Del Re” è soprattutto una commedia, una farsa all’italiana, costruita fin dalle fondamenta – e quindi dalla scelta degli attori – per funzionare come tale e non lasciarsi troppo distrarre da parallelismi - o serietà - che non sarebbe all’altezza di controllare. Armato di fioretto, ma pure (troppo) di moschetto, allora, Veronesi si concentra prevalentemente su ciò che sa fare meglio, cercando di sfruttare il talento e la versatilità dei fantastici quattro che ha a disposizione, caratterizzandoli come fossero disadattati fuori dal tempo, obbligati – per romanticismo e moralità - a rientrare in un contesto, nel frattempo avanzato, che faticano ad afferrare, e dal quale, perciò, rimangono sempre con un piede al di fuori.
Lo dicono spesso, D’Artagnan, Athos, Aramis e Porthos, sia quando stanno per essere reclutati per conto della Regina Anna, e sia quando - partiti in missione per la Francia - si accorgono di essere cambiati profondamente, invecchiati male: tristi, infelici, acciaccati e aggrappati a un passato da cui si sarebbero aspettati maggior riconoscenza. Questo perché prende (libero) spunto da Vent’Anni Dopo, Giovanni Veronesi, il secondo romanzo di Alexandre Dumas sui Moschettieri, ambientato nella metà del 1600, quando il Re Luigi XIV era ancora troppo giovane per governare e a esercitare il potere c'era il Cardinale Giulio Mazzarino.
Una rivisitazione in chiave comica – stracolma di licenze poetiche – che Veronesi teneva nel cassetto dagli anni ’80, rimandata per problemi di casting, ma realizzata, forse, nel periodo storico più opportuno, se consideriamo anche certi riferimenti (sottili) che il regista si prende il lusso (e il rischio) di toccare. Devono salvare gli Ugonotti dalla repressione dei Cattolici, infatti, questi Moschettieri; contrastare le politiche spietate e violente di un tiranno, nei confronti di una minoranza a cui non è concessa la libertà di pensarla diversamente: ed ecco che il pensiero va subito ai migranti, a quegli scontri culturali quotidiani, appartenenti alla stretta cronaca recente. Come accennato, però, “Moschettieri Del Re” è soprattutto una commedia, una farsa all’italiana, costruita fin dalle fondamenta – e quindi dalla scelta degli attori – per funzionare come tale e non lasciarsi troppo distrarre da parallelismi - o serietà - che non sarebbe all’altezza di controllare. Armato di fioretto, ma pure (troppo) di moschetto, allora, Veronesi si concentra prevalentemente su ciò che sa fare meglio, cercando di sfruttare il talento e la versatilità dei fantastici quattro che ha a disposizione, caratterizzandoli come fossero disadattati fuori dal tempo, obbligati – per romanticismo e moralità - a rientrare in un contesto, nel frattempo avanzato, che faticano ad afferrare, e dal quale, perciò, rimangono sempre con un piede al di fuori.

E ciò vale anche se dalla tua hai un colpo di scena finale che vuole andare a ribaltare tutto, smorzare l’avventura, modificando i connotati di una pellicola che aveva le potenzialità e l’esuberanza per incidere molto, molto di più.
Una pellicola a cui, forse, è mancato il sostegno di una regia un tantino più spavalda ed esperta, abile a entrare meglio in contatto col cuore del Lato B dell'opera più famosa di Dumas, realizzando un prodotto che non puntasse solamente all'intrattenimento, ai costumi e a una manciata di risate.
Trailer:
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