Voi vivete in un altro mondo.
Tu hai i tuoi tori, la tua casa, i tuoi figli, la tua poesia.
Sono le parole dette da un amico a Juan – il protagonista di “Nuestro Tiempo” – nel momento di crisi maggiore del suo rapporto coniugale: quello che ora vede sua moglie Ester andare regolarmente a letto con un altro uomo. I due si amano, tanto; hanno sempre vantato di essere una coppia aperta, libera, ma quando lei decide di servirsi – per necessità e maturazione – di questa apertura mentale, lui comincia a mettere in discussione tutto, compreso sé stesso.
Non basta il ranch, allora, a tranquillizzare Juan, non bastano le parole di consolazione che gli vengono dette – e alle quali risponde che sarebbe disposto a rinunciare a tutto, pur di uscire da questo limbo – e tantomeno gli basta compiere quella mossa altruista – che in realtà è più disperata e manipolatoria – con la quale chiama il suo rivale in amore per comunicargli il via libera a perseverare, se ciò serve a far sentire meglio la sua amata. Perché, in fin dei conti, l’anima di “Nuestro Tiempo” sta tutta dentro questo quesito, al cruccio di un amore improvvisamente cambiato, diverso, ma non per questo, forse, da ripristinare, terminare o buttare via. Ci ragiona Juan, ne parla onestamente (e ossessivamente) con Ester, pensa a cosa farebbe qualsiasi altro uomo e a cosa sarebbe giusto debba fare lui; riflette di pancia e poi di testa e agisce ancora alternando prima l’una e poi l’altra. Lo fa per onorare quelle che furono le promesse stipulate dalla coppia in principio, lo fa perché ama troppo sua moglie per lasciarla andare via e lo fa – particolarmente – per dimostrare a sé stesso di poter sostenere davvero ciò che, inizialmente, era stato posto solo come ipotesi. Prova a recuperare le fila, in sostanza, a ricomporre il gomitolo che gli era sfuggito di mano, convinto stavolta di poterlo gestire, di poterlo tenere: sottovalutando che proprio in quel presupposto e in quella certezza di potere è racchiuso l’errore.
Non è un altro mondo, infatti, quello in cui vivono Juan e Ester, o meglio lo è nella superficie, nell'ambiente, ma non nelle regole che lo costituiscono e che, poi, sono le stesse che tutti conosciamo. Non ci si sente mai estraniati da Juan e dalle sue reazioni, anzi, spesso ci rispecchiamo e peniamo con lui, tifando contemporaneamente per una (ri)soluzione che, magari, riesca a darci nuove letture e informazioni sull’amore e le sue conseguenze. Perché, in fondo, quell’emancipazione in materia, quel volere a tutti i costi, e a prescindere, il benessere di chi ci è a fianco - a noi uomini nello specifico - serve e servirebbe, ed il fatto che la pellicola del messicano Carlos Reygadas – che dirige, sceneggia e interpreta (con la moglie nei panni di Ester, tra l’altro) – provi almeno ad esplorarla, a scavare nella tematica (seppur sperimentando, a volte), è già qualcosa che l'aiuta a mettersi in mostra, a differenziarsi, ad attirare l’attenzione. Se poi ciò riesce ad essere persino eseguito con lucidità, con passione, ed enorme originalità, sia tecnica che estetica, sotto il profilo visivo, ecco che la grandezza dell'opera che si ha di fronte si fa palese, indiscutibile.
E non solo per via delle tre ore di durata, che tanto scorrono senza neppure accorgersene, ma per la forza e l'intensità con la quale questo western sentimentale sa piazzarsi nel cervello e – che sia per determinate sequenze, che sia per determinati dilemmi – non vuole più saperne di traslocare.
Continuando a elaborare, a crescere e a confermare il suo splendore.
Trailer:
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