Piccole Donne - La Recensione

Piccole Donne Gerwig
La storia è quella.
Ma con delle variazioni.
Chiamiamole licenze poetiche, ecco: perché al suo quinto adattamento cinematografico "Piccole Donne" non avrebbe avuto alcun senso se fosse rimasto troppo uguale a sé stesso, troppo fedele al romanzo. La prima a rendersene conto è stata proprio Greta Gerwig - che è la compagna di Noah Baumbach, non ce lo scordiamo - che, dopo "Lady Bird", registicamente parlando (come anche in termini di scrittura) ha voglia di crescere e, esattamente come le protagoniste che racconta, sembra stia maturando a vista d'occhio.

La sua trasposizione del coming-of-age di Louisa May Alcott, allora, è assai lontana da un’operazione come quella – per fare un esempio – del “Pinocchio” di Matteo Garrone. Nelle mani della Gerwig – che confessa di amare spudoratamente il testo di partenza – la cronologia degli eventi delle quattro sorelle March viene totalmente stravolta, fusa con parte di quello che, più avanti, ne sarebbe diventato il sequel - Piccole Donne Crescono – e modernizzata se non scenograficamente, sicuramente nella gestione delle tematiche. Parte dalla fine, il suo film, dalla Jo di Saoirse Ronan già donna che, in un mondo maschilista e governato da uomini, si finge intermediario per poter vendere più facilmente un suo racconto a un editore (che glie lo stravolgerà per renderlo più commerciale). Da qui, i piani temporali cominciano a intersecarsi, portandoci indietro di sette anni, nei ricordi adolescenziali di lei, e transitando nel suo percorso di formazione – e in quello delle sue sorelle – specchiandolo di tanto in tanto con un presente distinguibile e identificabile – nella maggior parte dei casi – da una fotografia più spenta e più fredda. Un’altalena di eventi, di momenti cruciali della vita delle quattro ragazze, che non sappiamo mai con certezza se essere parte di una realtà oggettiva, oppure frutto della memoria personale, suggestionata dal tempo, di chi li sta rievocando: espediente che permette alla regista (e sceneggiatrice) di prendersi maggiori libertà di manovra, ma soprattutto di infondere quel senso di maturità e di emancipazione voluto, sin dalla radice.

Piccole Donne ChalametPerché in fondo questo “Piccole Donne” è profondamente incentrato sulle emozioni, sulle sensazioni, su quei frame dell’adolescenza che restano nitidi e che da adulti tendiamo a visualizzare di nuovo, a voler rileggere, perché determinanti nell'averci definito, nell'averci portato laddove siamo arrivati. Stralci di vita che possono appartenere a un ballo stravagante, a una litigata tra sorelle, a una parentesi privata con tua madre che, tranquillizzandoti sul tuo temperamento, ti svela quanto lei stessa sia umana e quindi imperfetta come tu ancora non eri riuscita a cogliere. Uno sguardo sensibile, tenero, universale, tipico forse di quel tratto femminile che caratterizza la pellicola, e al quale la Gerwig silenziosamente e sinceramente si aggrappa per confessare lei stessa le fragilità, le incertezze e le nevrosi che l’hanno circoscritta – continuando a farlo, magari – e che probabilmente, ci dice, fanno parte di ogni donna e della donna per antonomasia.

Del resto non è un caso se l’opera della Alcott venga considerata eternamente un classico della letteratura (femminile), come non è un caso che “Piccole Donne”, oggi, venga adattato sapientemente e magistralmente in maniera contemporanea per comunicare dei messaggi – alla società, all'uomo, alle donne stesse – che, per certi versi, e nonostante gli anni, faticano tuttora a lasciarsi comprendere o ad essere recepiti.
Con la speranza che non sia mai troppo tardi.

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