Mi Chiamo Francesco Totti - La Recensione

Su Francesco Totti vale un po’ il ragionamento che fece Nanni Moretti a Jasmine Trinca, quando ne “Il Caimano” cercava di farle capire perché non valesse la pena fare un film che parlasse di Berlusconi: “Tutti sanno già tutto[…]. Chi voleva sapere sa, poi chi non vuole capire…”. 

E, in effetti, non fa una piega. Chiunque – romanista e non – se in qualche modo è (stato) attratto dal personaggio, dalla sua storia e dalla sua immensa grandezza, di opportunità per conoscerlo meglio e di andare a scoprire l’uomo, il calciatore e i suoi aneddoti ne ha avute a bizzeffe. Fin troppe, addirittura. Per questo quando è stato annunciato il documentario “Mi Chiamo Francesco Totti”, subito dopo al “Daje!” di rito (da tifoso non poteva essere altrimenti), il pensiero è andato alla rilevanza che un progetto del genere potesse avere, oltre quello meramente commerciale. L’idea di portare sul grande schermo la sua biografia ufficiale – Un Capitano – e consentire così ai poco avvezzi alla carta stampata di colmare lo stesso le loro ultime lacune, mi pareva un tantino gracile come colonna portante dell'operazione. Ma questo, il regista Alex Infascelli, era un problema che aveva già calcolato e risolto in anticipo. Il suo documentario, infatti, si apre nella maniera più suggestiva ed emozionante possibile: con Francesco Totti al centro del campo, nello Stadio Olimpico di Roma, la notte prima della sua partita di addio al calcio. Con voce fuori campo lui si introduce, parla con noi, ci spiega cosa sta accadendo e – aiutato dai cartelloni pubblicitari che fanno (e cambiano) luce all’occorrenza – torna indietro nel tempo (quello maledetto che lo ha trascinato fino a questo momento) raccontandoci la sua storia. Lo fa in una maniera diversa, però: non come ci aveva abituato, non come fosse un racconto, ma come una favola che si presta perfettamente al cinema e nella quale un ragazzino – un bambino? – desidera ardentemente di arrivare a realizzare il suo sogno. 

Diventa un archetipo, Francesco, un eroe per cui empatizzare, tifare (a prescindere dalla squadra del cuore e dall’interesse per il calcio), specchiarsi attraverso. Un ragazzino che probabilmente - guardando i video – era predestinato e che ce l’avrebbe fatta a prescindere, ma che comunque se alla fine è riuscito a vincere la sua partita, convertendosi in quel monumento che lui stesso ammette di essere, è perché ha saputo coltivare e incarnare quei valori (rispetto, umiltà, spirito di sacrificio) che fin da piccolo la sua famiglia non ha mai smesso di trasmettergli. La magia del “manna ‘n po’ n’attimo indietro” si trasforma allora in una sorta di ascensore emozionale – per i romanisti una condanna a lacrime perenni – e ci trascina in un viaggio a ritroso verso le tappe più importanti della sua (e inevitabilmente della nostra) vita, quelle dove Francesco ne approfitta per spiegarci (e per spiegarsi) com’è diventato Totti e come il Destino – o Dio, oppure entrambi – abbia giocato un ruolo determinante nello sviluppo del disegno. Difficile dargli torto, del resto. Ricapitolando gli episodi, gli innumerevoli bivi a cui dare risposta e i miracoli sportivi del quale si è reso protagonista, è impossibile pensare unicamente a questione di fortuna e sfortuna. L’impressione netta è che fosse tutto già scritto, che non potesse andare diversamente, che quel bambino che camminava sulla spiaggia di Torvaianica, calciando un pallone più grosso di lui, non poteva che diventare un campione, la Storia della Roma, di Roma e del calcio mondiale. 

Ma come accennato quella di “Mi Chiamo Francesco Totti” è anche un pizzico nostra, di storia: perché Totti magari no, ma Francesco dentro lo siamo un po’ tutti (o lo siamo stati). Altrimenti non avremmo potuto far scendere – e riscendere – tutte quelle lacrime. Non avremmo mai esternato tutta quella gioia, quella passione, quella felicità nei confronti di un uomo che quando è seduto sulle scale, prima di entrare in campo a ricevere il calore di uno stadio intero, vediamo tornare nuovamente ragazzino, ed essere triste perché impaurito da un futuro sconosciuto e da una voglia di divertire e di divertirsi che non è pronto ad abbandonare.
Ed è alla fine di questa corsa stracolma di emozioni che ci vede tagliare il traguardo con gli occhi lucidi e le lacrime che scorrono sulle guance, che quel ragionamento di Moretti su Berlusconi, emerso in partenza, smette ogni relazione che (pensavamo) potesse avere con Francesco Totti.
Perché, in fondo, di certe Leggende e di certe favole non ne avremo sempre bisogno. 
Tutti.

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