A farlo, in anticipo su tutti, è stata la regista, sceneggiatrice, produttrice e attrice Emerald Fennell, che guardando con attenzione all’interno del vortice fatto di scandali, chiacchiericcio e immenso imbarazzo, scatenato dal Movimento Me Too e dall’organizzazione Time’s Up, ha intravisto i margini per una storia che andasse a raccontare proprio queste dinamiche, agganciandosi a difficoltà, pregiudizi e comportamenti, sia lato maschile che femminile.
Ed è stato un bene, onestamente, che un film come "Una Donna Promettente" sia stato partorito dalla mente di una donna; da una mente quindi capace di vedere non solo il lato evidente – quello più sdoganato – della questione, ma pure quello eclissato e più articolato. Perché la Cassandra di Carey Mulligan non è una vendicatrice del mondo femminile e basta, o perlomeno smette di esserlo da quando torna in contatto con quel passato che l’ha costretta a trasformarsi in quella creatura. Il suo è un personaggio complesso, solo apparentemente bidimensionale. E’ un’anima fragile che non si da pace, che non riesce ad andare avanti e che solo, ad un certo punto, riusciamo a vedere nella sua totalità di giustiziere che non accetta compromessi. Chi sbaglia, paga. Che sia uomo o che sia donna. Quanto e come, poi dipende dall’errore. L’importante è che capisca; che riesca a comprendere la lezione e a rendersi conto del grave errore commesso e delle potenziali conseguenze a cui potrebbe portare (o aver portato). Schemi mentali da abbattere insomma, da mettere a nudo, modificare. E in questo senso la Fennell cerca di sfruttare il suo ruolo, ponendo l’accento su quanto sia necessario far squadra e piantarla con la cultura del silenzio e dell’egoismo: lo fa allestendo un paio di scene-chiave che portano Cassandra a mettere in riga – attraverso il beneficio del dubbio – prima una sua vecchia amica e subito dopo la preside della sua ex Università di Medicina.
Non bisogna perdere di vista il fatto che “Una Donna Promettente” nasca e cresca con l’educazione e le prerogative classiche di un b-movie. Magari di un b-movie moderno, ambizioso di ostentare muscoli che fanno parte della sua costituzione, ma coi quali assolutamente non intende stare lì a insegnarci qualcosa tramite lezioncine. Ogni livello di lettura è a carico nostro, a nostra discrezione, alla Fennell interessa solamente rendere più divertente ed esaltante uno spettacolo d’intrattenimento che funziona e che continua a farlo persino nel momento in cui deve fingere un cambio di rotta, nel quale vengono fuori i suoi punti più deboli: quelli di un romance che sboccia, ma del quale è piuttosto prevedibile la parabola. E’ l’unico calo – fisiologico, tra l’altro – di un revenge-movie spregiudicato e grottesco, del quale meno dettagli si riescono a sapere in anticipo, meglio è in termini di visione, e destinato forse – ma questo ce lo dirà il tempo – a non far perdere così facilmente e velocemente le proprie tracce.
Merito soprattutto di un finale (perfetto?) che non sbaglia una virgola e nel quale ogni iperbole raggiunge il suo picco massimo, mentre noi spettatori restiamo immobili ad assistere ad uno show ai limiti del pirotecnico.
Trailer:
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