Una figlia adolescente fugge dalla Germania per andare in Italia a conoscere suo padre. Di lui non sa nulla, tranne il luogo in cui vive e che lui non ha voluto prendersi cura di lei, né far parte della sua vita. Interrogativi che, insieme a tante altre domande, ha scritto sopra un quaderno e alle quali ora vuole trovare risposta. Ma come proprio suo padre gli suggerirà, una volta messo sotto torchio: "Non puoi conoscere una persona con un'intervista!".
E in effetti il Paolo di Luca Marinelli è un bugiardo patologico, un codardo, un uomo che di fronte alle proprie responsabilità è sempre fuggito, scappato via, anche se ora sta provando a mettere le tende in un luogo e a lottare contro sé stesso per cambiare, diventare un uomo - un padre - migliore, non più nomade. Ma quando Leo gli si presenta davanti agli occhi all'improvviso, la paura torna a travolgerlo, a pietrificarlo, perché in questo momento della sua vita si sta impegnando a ricucire il rapporto tra lui ed un'altra donna, dalla quale ha appena avuto una bambina e da cui è scomparso per un mese prima di decidersi a tornare. Così si ritrova a dover gestire due giganteschi errori contemporaneamente, lui: un compito estremamente arduo, nonostante la sua abitudine a surfare sulle onde diventata anche un mestiere da insegnare ai turisti. Eppure sull'onda di Leo, Paolo continua puntualmente a cadere, a scivolare, a sbagliare postura, ritrovandosi ogni volta costretto a ricominciare da zero e con un grado di difficoltà maggiore. La sua strategia, infatti, è quella di emarginarla, confinarla, di gestirla nei ritagli di tempo come si fa con un secondo lavoro. Guai a mischiarla con la quotidianità, con gli amici, col tempo passato insieme alla nuova (ex) compagna, a cui vuol dimostrare di essere maturato, affidabile, e che semmai venisse a scoprire della sua recidività cronica, forse, gli chiuderebbe per sempre le porte in faccia.
E con un'impalcatura così, allora, "Paternal Leave" non può che diventare uno di quei film profondamente intimi, viscerali, in cui le emozioni passano attraverso i primi piani dei suoi protagonisti (bravissimi, perfetti anzi), spesso costretti a isolarsi, o a fare i conti con la solitudine, mentre riflettono sulle loro azioni e sulle loro scelte. Un coming-of-age a doppio binario, in cui a dover affrontare un percorso di crescita non è solo l'adolescente di turno, ma pure l'adulto, e in questo caso soprattutto. La storia scritta e diretta da Alissa Jung - moglie di Marinelli nella realtà - è crudissima, infatti, dura, lontana anni luce dagli stereotipi che siamo abituati a (pre)vedere, o a dare per scontati. Perché Leo e Paolo ce la mettono tutta per aiutarsi a vicenda: lui ostentando un affetto che gli pesa tantissimo e che lo spaventa a morte, e dal quale poi si ritrae goffamente, e lei perdonandolo dopo ogni brusca respinta, scusa, o colpo basso e cattiveria (gratuita) subita. Il problema è che l'unica cosa che riescono a fare ogni volta è peggiorare le cose, farsi più male, come se l'unica soluzione possibile, per loro, fosse quella di restare divisi, dimenticarsi. Per qualche misterioso motivo, però, non ce la fanno a tagliare i ponti, continuano a girarsi intorno, a provocarsi, inseguirsi, come se guidati da un legame più profondo e invisibile a cui devono per forza cedere.
Non mollano, quindi, pure se le circostanze e i segnali siano abbastanza evidenti e il loro rapporto appaia - colpa di Paolo, ovviamente - assai nocivo, tossico e impraticabile. E lo rimane almeno finché questa ostinazione non converga all'apice, trascinando entrambi ad un punto di svolta non ipotizzabile da nessuno dei due, all'inizio (né tantomeno da noi), ma che plausibilmente rappresenta il massimo raggiungibile nel qui e ora. Una sorta di commovente promessa che Leo e Paolo decidono di farsi silenziosamente. Senza il bisogno di parlare, ma solo guardandosi negli occhi e abbandonandosi a un cenno. Un lumicino di speranza - se vogliamo - verso un futuro che potrebbe (oppure no) vederli più uniti e meno estranei, comunque felici.
E che, probabilmente, serve pure al film di Jung di non passare nemmeno come eccessivamente ostile e prevenuto verso la figura dell'uomo (adulto).
E che, probabilmente, serve pure al film di Jung di non passare nemmeno come eccessivamente ostile e prevenuto verso la figura dell'uomo (adulto).
Trailer:
Commenti
Posta un commento