Faccio fatica a ricordare l'ultima volta che un film si è portato appresso tutto questo chiacchiericcio.
E parliamo di tanto chiacchiericcio.
Troppo chiacchiericcio.
E faccio ancora più fatica a ricordare l'ultima volta in cui un trailer sia stato così abbondantemente visto,
analizzato e ri-editato dagli utenti della rete, per renderlo “come doveva essere" piuttosto che "come
vogliono farci credere che sarà".
Insomma, va da sé che "Spider-Man: No Way Home" è riuscito a raggiungere dei primati senza neanche
dover attendere di uscire in sala, tra cui il più importante, forse, quello di aver letteralmente mandato in tilt
i siti internet delle catene multisala, all'apertura delle prenotazioni per i biglietti.
Evento accaduto su scala mondiale.
Questo solo per riassumere quanto alte (altissime; ma da vertigini proprio) fossero le ambizioni intorno al
terzo capitolo della saga, con protagonista Tom Holland: che riparte esattamente da dove lo avevamo
lasciato, con l’identità segreta di Peter Parker svelata su tutti i maxischermi di New York, in seguito al tiro
mancino messo in atto da Mysterio. Il what the fuck di quel finale, è l’inizio di NWH, con le conseguenze di
una shitstorm che non colpisce solamente la vita del diretto interessato, ma pure quella delle persone più
care che gli ruotano intorno. Un senso di colpa che lo trascina dritto dritto a casa del mago Doctor Strange,
il quale prova ad aiutarlo con un incantesimo che dovrebbe rimettere le cose apposto, ma che viene
disturbato e modificato più e più volte dallo stesso Peter, al punto da peggiorare la situazione e generare
conseguenze atroci (ma mirabolanti). In parole povere, un collegamento tra multiversi: quella parola che
sta a significare – e parlo per i neofiti – la presenza di mondi paralleli al nostro, in cui una realtà
leggermente diversa, ma uguale, o totalmente diversa, ma simile negli avvenimenti, esiste a prescindere
dalle nostre coscienze e percezioni.
Non so neanche se l’ho spiegato bene, in realtà, ma onestamente non è così rilevante (a meno che non
dobbiate sceneggiare un film della Marvel, ovviamente).
La spaccatura (o l’escamotage) che – di fatto – ha permesso di riportare in auge gran parte dei nemici di
Spider-Man visti nelle edizioni passate: quelle di Sam Raimi e di Marc Webb. E che ha dato vita a fantasie,
illazioni e rumors su eventuali e ulteriori ritorni che poi sono diventate il pane quotidiano di questa ossessiva caccia
all'indizio e alla verità (che, tuttavia, ha fatto solo bene alla pellicola di Jon Watts e al cinema, in
generale, visto il periodo).
Una spaccatura che però si fa meta-cinematografica, nel senso che riesce a dividere a metà anche quello che è
il secondo atto di "Spider-Man: No Way Home": che oscilla tra coerenza narrativa e fan-service, non
sempre con equilibrio, lucidità o la dovuta delicatezza. L’obiettivo comunque è piuttosto chiaro, quanto prevedibile:
Peter Parker deve diventare grande, come leader ma soprattutto come uomo. Capire, nero su bianco, che
da un grande potere derivano grandi responsabilità e che, almeno in parte, il suo potere è la sua
maledizione. Deve raccogliere l’eredità del personaggio che interpreta, quindi, assimilarne l’etica e
completare la sua metamorfosi. E per farlo deve passare attraverso le prove-pilastro del suo destino: subire
il trauma della perdita, imparare a resistere all'istinto della vendetta e cedere alla giustizia di una cura che
rappresenta l’accettazione di un percorso e di una nuova maturità.
Turbinio di emozioni, guai e fratture che, chiaramente, non potrà sostenere tutto da solo (non
subito) sul suo corpicino da adolescente, ma che verrà diviso su più spalle, molte delle quali dal sapore piuttosto insolito e furbo, seppur
allo stesso tempo attesissime, esaltanti e spettacolari (per lui e per molti di noi).
Perché non c’è dubbio – ma proprio nessuno – che questo "Spider-Man: No Way Home" sia il blockbuster (moderno) per eccellenza: quel film per cui paghi il biglietto e all'uscita sei soddisfatto di ogni singolo centesimo speso.
Ma certo è, che puntare troppo sull'effetto nostalgia – specie se ci si adagia troppo sugli allori, perdendo
l’incredibile occasione di sfiorare l’epica – può risultare piacevole la prima volta, ma già alla seconda
(visione) si rischia di intravedere il trucco e le crepe di uno show, sicuramente meraviglioso, ma a cui
bastava davvero poco (un pizzico di impegno in più) per imporsi come assolutamente perfetto.
Nonostante il multiverso e proprio grazie ad esso.
Trailer:
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