Crimes Of The Future - La Recensione

Crimes Of The Future Poster

Mancava da otto anni, al cinema, David Cronenberg.
Da quel “Maps To The Stars” che, puntando la camera sulle stelle di Hollywood, filosofeggiava sulla nostra deriva, sulla desolazione e il disordine e – quindi – sulla morte (come destinazione consequenziale).
Ragionamenti che, a quanto pare, il regista non ha abbandonato, elaborandoli con estrema lucidità e – forse – cambiando leggermente il suo punto di vista. 
Un punto di vista che, a seconda di chi lo legge, può sembrare costruttivo e naturale, così come spaventoso e provocatorio.

In “Crimes Of The Future”, infatti, ci presenta un’umanità in radicale cambiamento. Un’umanità costretta – fisiologicamente e non – ad adattarsi al mondo che ha contribuito ad alterare, a guastare, o – come accade per i corpi di alcuni esseri umani – semplicemente a fare evolvere. Neanche a dirlo ci troviamo in un luogo cupo, quasi sempre buio e dove anche la luce – quando c’è – appare grigia, spenta. La tecnologia è decadente, ma affinata, tanto che la comodità di dormire e di sedersi a tavola, per esempio, è connessa direttamente allo stato di salute e all’equilibrio di ogni soggetto (e se c’è qualcosa che non va, meglio stare in piedi). Tutto è cambiato (e sta cambiando), eppure tutto deve cercare di rimanere il più possibile uguale, comprensibile, naturale. Una lotta che pare aver ingaggiato personalmente il Saul Tenser di Viggo Mortensen, alle prese con dei tumori che non smettono di crescere nel suo corpo e che continua a far rimuovere dalla Caprice di Léa Seydoux: mettendo in scena degli spettacoli pubblici, in cui la gente è affascinata e rapita dalle loro performance.
Chirurgia, rivisitazione della bellezza, trasformazioni (di persone) in opere d’arte. Nel post-apocalittico (?) – e senza dolore – immaginato da Cronenberg sono la massima espressione, la nuova droga (legale) alla quale è impossibile resistere.
Purché non si superi determinati (e nuovi) limiti, però.

Crimes Of The Future Cronenberg

Siamo (in) un paradosso, questo è chiaro.
E in quanto tale, Cronenberg non può fare a meno di schernirci e condannarci. 
Pur essendo stato per anni lontano dalle scene, il suo spirito critico e di osservazione non ha smesso di lavorare, di fantasticare. Il suo sguardo sul mondo e sul futuro – quello vero, non quello inventato – non è né promettente, né felice, e nella sottotrama noir-spionistica di “Crimes Of The Future”, possiamo intercettare, esplicito, il messaggio a una transizione ecologica che se non è raggiungibile da un verso, dev’esserlo per forza dal suo opposto. Quell’opposto che, ovviamente, siamo noi, ma che semmai dovesse verificarsi (se mutassimo all'interno), ci tramuterebbe automaticamente in qualcos'altro (in creature da ridefinire). 
Uno spunto affascinante, acuto, che se non fosse per una messa in scena dal sapore invecchiato e dal passo affaticato, avrebbe potuto accendere e appassionare maggiormente il nostro interesse. La mano di Cronenberg è evidente, il suo tocco disturbante e distintivo, assolutamente intatto, ma la vivacità e la voglia di stupire (ci) appare piatta, demotivata, spossata. 

Convince, allora, più nella sostanza che nella forma, il suo ritorno.
Più nella critica (feroce) a una società che sarà costretta – volente o nolente – a fare i conti coi suoi errori e con un progresso e un’evoluzione inarrestabili (e non per forza positivi o soddisfacenti).
Una società fredda e incapace di suscitare calore e che somiglia un po’, nostro malgrado, ai punti deboli di questa pellicola.

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