As Bestas - La Recensione

As Bestas Sorogoyen

Vincent e Olga sono una coppia di mezza età che dalla Francia si è trasferita in un piccolo villaggio della Galizia, in Spagna, per dedicarsi all’agricoltura sostenibile e alla riqualificazione di spazi abbandonati, con l’intento di far riavvicinare a quei posti i turisti. Chi abita lì da anni, tuttavia, non è dello stesso parere: tant’è che quando arriva un’offerta da parte di una società norvegese, desiderosa di acquistare quelle terre per installarci pale eoliche, la maggior parte dei residenti non vede l’ora di vendere e di scappare via. L’opposizione di Vincent e Olga – consapevoli che non è tutto oro quel che luccica – e di un’esile minoranza – convinta da loro – però rischia di far saltare l’affare, così i loro vicini decidono di fargli pressione, affinché cambino idea.

In pratica, è guerra.
Non tanto da parte della coppia, quanto da parte di due fratelli che hanno capito che se vogliono intascare il denaro ed evitare che la trattativa sfumi, c’è bisogno di accelerare e di utilizzare la violenza. Comincia così un’escalation dove le minacce e i dispetti fanno da padroni: con Vincent e Olga che sostanzialmente subiscono torti, gravissimi anche, cercando di difendersi attraverso l’aiuto (sterile) della legge e di alcuni filmati registrati di nascosto da lui con la videocamera. Ma non è abbastanza. Ed è per questo che “As Bestas”, arrivati a un certo punto e delineate le personalità – e le poste in palio – dei concorrenti in gioco, comincia a far paura. A mettere a disagio lo spettatore. La lotta psicologica tra chi rivendica la propria ragione perché lì c’è nato, e chi invece si oppone perché lì ha intenzione di passarci il resto della sua vita – con evidenti richiami all’immigrazione e al razzismo – è come un braccio di ferro che non vuole saperne di sbloccarsi. A meno che qualcuno non cominci a barare, invadendo i confini. A superare i limiti, insomma. E da come Rodrigo Sorogoyen - regista sopraffino (che è pure sceneggiatore, insieme a Isabel Peña) - descrive i suoi protagonisti, da come ci racconta – sapientemente e con pochissimi dettagli affidati a dialoghi – il loro passato e gli obiettivi da raggiungere, possiamo intuire facilmente a cosa andranno incontro – o rischiano di andare incontro – Vincent e Olga.

As Bestas Sorogoyen

E ciò non è un limite, anzi.
Rispetto alle altre pellicole, in cui stare un passo avanti alla sceneggiatura è sinonimo di poca originalità, in “As Bestas” essere sincronizzati ai fatti è una questione di semplice coerenza e pura logica di scrittura. La consapevolezza di trovarsi di fronte a qualcosa di immaginabile e di assolutamente pericoloso; di assaporarne i rischi, sentirne il peso. Inoltre, l’anticipare i risvolti successivi – e anticiparli solo perché impariamo a leggere bene le pedine della scacchiera – non vuol dire afferrare il “come” questi avverranno, o “quanto” male faranno: ed è un concetto che fa tutta la differenza del mondo e che afferreremo meglio quando realmente ce lo troveremo davanti. In quello, peraltro, che non rappresenta l’ultimo step della storia, bensì l’entrata verso un terzo atto meraviglioso, in cui dolore e lutto hanno bisogno di essere trattenuti, elaborati (esorcizzati?), e dove una figlia sente il bisogno (rabbioso) di trarre in salvo una madre che, ai suoi occhi, non sembra più tanto affidabile, come nemmeno lucida.
Sebbene sia lucidissima, al contrario.

E lo vediamo quando – in una scena da brividi – rivela ad un’altra madre quale piega prenderanno gli eventi. Quelli che effettivamente vanno a chiudere il film come meglio non si sarebbe potuto chiedere e che confermano il nome di Sorogoyen, come quello di un autore che, se prima era ancora da osservare attentamente, adesso è da non perdere mai più di vista.

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