Close - La Recensione

Close Film

Leo e Remi sono migliori amici.
O, meglio, sono quasi come fratelli.
Passano le giornate l’uno attaccato all’altro: giocano insieme, ridono insieme, dormono insieme.
Il loro rapporto sembra indissolubile, prezioso, puro.
Finché ad irrompere, nella loro vita, non arriva il liceo.

Racconta la perdita della spensieratezza, infatti, il regista e sceneggiatore Lukas Dhont, e lo fa attraverso un coming of age dolorosissimo che inevitabilmente ci spinge – seppur non ci costringe – a guardare in faccia determinati quesiti che, forse, esulano pure da quelle che erano le sue intenzioni principali. Perché, ad un certo punto, in “Close” succede qualcosa di tragico, di terribile, e succede a seguito di un distacco che è sì, sbagliato e crudele, ma pure figlio di quelle crisi adolescenziali che è capitato (e capita) a tutti di provare quando si è ragazzini. In questo caso però le conseguenze diventano spropositate e a nascere è un senso di colpa atipico e gigantesco (e ingiusto?), che va a condizionare la quotidianità di un quattordicenne troppo giovane e immaturo per poterlo gestire o affrontare da solo. Alla base c’è un argomento spinoso come quello dell’identificazione sessuale, e quindi del pregiudizio e della paura di non essere conformi, normali, accettati. Situazione alla quale Remi reagisce mostrando indifferenza e leggerezza, mentre Leo, colpito e affondato dalle parole e dai dispetti dei suoi compagni, risponde prendendosi i suoi spazi e mutando leggermente i comportamenti nei confronti dell’amico.
Una questione di sensibilità, destinata a ribaltarsi nel corso della storia.

Close Film

Tant’è che poi, i dubbi – nostri e dei diretti interessati – si sprecano.
Così come le domande su chi sia responsabile e chi no, in merito a un’ingiustizia - una morte - che potrebbe apparire evitabile, magari, ma che allo stesso tempo apre le porte a diversi punti di vista, in base alle considerazioni. L’istinto – sulle prime e da spettatori – ci porta a puntare il dito subito contro colui che ha ferito, voltato le spalle. Eppure, analizzando razionalmente la questione, ci accorgeremmo che è impossibile non includere tra i responsabili il sistema scolastico-tutto, le convenzioni in generale e probabilmente anche i genitori. La verità, allora, è che non esiste un reale colpevole. E che, sebbene ciò renda la faccenda ancor più inaccettabile e straziante, l’unica soluzione resti quella di limitarne i danni. Che tradotto, in “Close”, significa salvare Leo da una possibile autodistruzione.
Ed è in quella direzione che Dhont, intelligentemente, vuole andare: mostrandoci il suo protagonista completamente spaccato a metà che tenta di interagire e di integrarsi coi suoi coetanei, sebbene nel privato il silenzio e la solitudine procedano col tormentarlo, rigettandolo tra i cattivi pensieri.

Anche lui vittima.
Condannato a un carico emotivo devastante che, pian piano, lo frantuma dall’interno.
Un supplizio che crede di meritare, che cerca e trascina con sé senza chiedere aiuto. 
Trovando forza e coraggio per esorcizzarlo solamente al termine di un percorso che, in qualche modo, lo porterà a chiudere i conti per sempre con l’età dell’innocenza.
Passando per una sequenza splendida che culmina in un abbraccio che sa di amore, perdono e futuro.

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