Io Capitano - La Recensione

Io Capitano Poster

Documentaristico? Didascalico? 
Di sicuro è un Matteo Garrone diverso quello di “Io Capitano”. 
Non tanto inaspettato, casomai contenuto. 
Al servizio (troppo?) di una storia – di un viaggio – che lui stesso ha definito epica e che in base alla lettura che gli si vorrà dare – che si deciderà di volergli dare – cambia sia di spessore che di valore.

Quello che di nascosto intraprendono Seydou e Moussa – i due adolescenti, minorenni protagonisti – è, infatti, il viaggio della speranza, ovvero quello che le nostre orecchie hanno imparato a sentir nominare da quando gli sbarchi clandestini e la gestione dei migranti son diventati all'ordine del giorno, nonché un programma politico e argomento di discussione – ahimè – da bar. Però, appunto, hanno imparato a sentire, perché poi, di quello che c’è dietro, di quello che significa intraprendere quel cammino, quell’epopea, la maggior parte della gente (che ne parla, pure) ne sa davvero poco o niente. C’era stato Checco Zalone che ci aveva provato, in “Tolo Tolo”, a gettare una sorta di infarinatura, di suggestione, ma, probabilmente, il tono comico della pellicola non deve aver aiutato molto a far passare il messaggio come attendibile. E allora ecco Garrone che, gettandosi dall’altra parte della barricata, decide di raccontare con sguardo secco e (piuttosto) asciutto i motivi che spingono questi esseri umani a lasciare affetti e certezze (seppur minime) e ad imbarcarsi per una traversata che sanno perfettamente potrebbe condurli dritti dritti a morte certa. La meta è l’Europa, ovviamente. Continente che per loro simboleggia speranze, ambizioni, aiuto economico alle famiglie e fabbrica dei sogni: per dire, quando qualcuno suggerisce ai due ragazzi di evitare il pericolo, aggiungendo che anche lì esistono persone che vivono in strada, loro reagiscono scoppiando a ridere, come se la notizia fosse una balla.

Io Capitano Garrone

In parte, quella che vediamo è una storia vera, allora.
Anzi, sarebbe quasi più coerente dire che sono tante storie vere, perché le tappe da affrontare non cambiano mai. Sono categoriche, prestabilite. Inalterate, come il regolamento di un gioco da tavolo. A variare è il destino, le scelte, la fortuna che andrà a decidere l’eventuale sopravvivenza del singolo, e che è calcolabile alla stregua di un tiro di dadi. Sarà per questo che Garrone stringe al minimo ogni slancio che potrebbe trasformare “Io Capitano” in una sorta di favola visionaria e sorprendente (in un “Pinocchio” moderno?). Gira con garbo (eccessivo), con rispetto (eccessivo?). Accompagna, senza rischiare di risultare invadente. Ogni tanto lo vediamo lasciarsi andare e osare un minimo, uscire dalla veridicità del racconto per smorzare la cruda violenza e la brutalità delle immagini, però sono attimi. Lampi d’autore che promettono una tempesta che poi non arriva, che onestamente, da spettatori, saremmo stati affascinati nel vedere – almeno io, personalmente – anche per provare ad accorciare una freddezza di fondo e quindi un distacco emotivo, abbastanza percepibili: tranne nell’ultima scena, dove è impossibile contenere i brividi.

Ma, appunto, dicevamo documentaristico e didascalico.
Giusti o sbagliati, come aggettivi, di sicuro c'è che “Io Capitano” non è quel film che va a spostare qualche equilibrio all'interno della filmografia e della poetica di Garrone.
Può farlo altrove, tuttavia.
Come, per esempio, nelle coscienze di chi fino ad ora ha continuato a parlare a sproposito, a dare giudizi e addirittura consigli inappropriati.
Lì, può assolutamente spostare parecchio.
Ammesso che un’opera del genere possa intercettare anche i gusti e gli interessi di tali persone.

Trailer:

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