C’è un uomo iper-protettivo (il padre), uno iper-possessivo (l’amante) e un altro iper-violento (il marito). E poi ce n’è un quarto, un quarto uomo che idealmente incarna il modello dell’uomo ideale, quello gentile, educato, paziente, ma col quale faticherebbe a empatizzare circa il 99% degli uomini reali, esistenti (ma, forse, pure buona parte delle donne).
In “Povere Creature!” è lui la persona che il padre di Bella – una straripante Emma Stone – sceglie come porto sicuro per la “figlia” (anche se la scelta è palesemente egoistica). Così come è lui l’uomo che l’amante intuisce di poter calpestare a suo piacimento. Una mancanza di rispetto replicata dal marito – che in realtà è un ex-marito, ma evitiamo spoiler – quando torna a reclamare ciò che lamenta come una sua proprietà.
Ognuno, chiaramente, sottovalutando le volontà e lo spirito indomabile della donna in questione.
Perché quello di Yorgos Lanthimos non può non essere letto come un film che indaga (anche) sul rapporto dell’uomo nei confronti della donna. E su come dovrebbe essere rivisto, corretto e pensato per fare in modo che non sia mai più sbilanciato e mai più tossico (giusto per usare un termine noto alle cronache). Una tematica sulla quale ogni giorno viene aperto un dibattito, ma sulla quale non si è riusciti ancora a trovare un percorso da intraprendere, una quadra. E, forse, per trovarla questa quadra sarebbe opportuno provare a cambiare il punto di vista, a ragionare fuori dagli schemi, a eliminare le sovrastrutture e le convenzioni di una società che, comunque, resta insana e imperfetta. E quale miglior modo per farlo, se non quello di immolarsi per conto della scienza e vedere cosa potrebbe succedere semmai un giorno, uno scienziato pazzo decidesse di impiantare il cervello di un neonato nella testa di una donna adulta: costringendola ad approcciare al mondo esterno completamente azzerata da qualsiasi istruzione, bias cognitivo o consapevolezza. Una donna adulta, quindi, che però si risveglierebbe vergine di vita, affamata di conoscenza, voglia di sperimentare e, perché no, di farsi male. Cominciare a guardare il mondo – il nostro mondo – attraverso i suoi occhi, i suoi istinti e le sue domande, e vedere se è il caso o meno di rimettere in discussione alcune (o tutte?) delle nostre certezze, atteggiamenti e ruoli di riferimento.
Insomma, è evidente che tra le mani di Lanthimos c'è una storia ricchissima di potenzialità e di sfumature.
Una storia (tratta dal romanzo di Alasdair Gray) che il greco – come potevamo intuire, conoscendolo – ha l’intelligenza di non andare a sviluppare mai prendendosi troppo sul serio, ma estremizzandola, in maniera tale da metterne in risalto tutta l’ironia e la satira a disposizione. E in questo lo ha aiutato moltissimo avere dalla sua un’attrice – ormai una musa – come Stone, che è tra le migliori su piazza quando si tratta di dover giocare con toni drammatici, comici e grotteschi, senza rischiare di perdere il senso della misura e risultare, magari, sopra le righe. E stando alla velocità con la quale decolla, la sensazione è che non ci sia meccanismo che non funzioni, o che possa incepparsi, in “Povere Creature!”, tanto è capace di colpire lo spettatore sia sotto l’aspetto narrativo, sia sotto quello tecnico che sotto quello visivo. Un flusso micidiale, apparentemente instancabile e auto-rigenerante, dal quale veniamo presi per mano e portati a spasso piacevolmente, alimentati da una stramba-protagonista che non smette di tirare fuori dal suo cilindro situazioni assurde e irresistibili, perfettamente in linea con le premesse del suo viaggio. Un canovaccio che sarebbe pure indistruttibile e sfavillante, se non fosse che, ad un certo punto, esaurita la parentesi sull'esplorazione sessuale (quella in cui Mark Ruffalo è costretto, spalle al muro, ad ammettere che l'apparato riproduttivo maschile è nulla, in confronto a quello femminile) e passati al capitolo antropologico e filosofico di Bella, non si facesse prendere la mano da quel pizzico di vanità, iniziando a specchiarsi un pelo troppo troppo da solo e allungando un brodo che (nella fase del bordello, per intenderci) va a raffreddarsi, perdendo quel gusto corposo e deciso che ci aveva conquistato.
Una discesa che non migliora neanche a fronte dell'ultimo colpo di scena.
Perché la chiusura del cerchio di Bella Baxter, seppur corretta in termini teorici (quel corpo ha un passato e ci sta che torni a farle visita), doveva (e poteva) mantenere un ritmo all’altezza con le aspettative lanciate dai primi due terzi del film. Mentre, invece, l'impressione è che si arrivi ai titoli di coda un po’ scarichi e privi di quell’estasi e di quello stupore che Lanthimos era riuscito, con grande maestria, ad accendere e a tenere vivi per la maggior parte del tempo.
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