Megalopolis - La Recensione

Megalopolis Poster Film

Qualche settimana fa, su YouTube, mi è capitato sotto gli occhi un video dedicato alla regia (e alla filmografia), di Francis Ford Coppola. E in questo video - interessantissimo - veniva posta la lente d'ingrandimento su come, nel corso della sua carriera, Coppola avesse sempre avuto un'inclinazione al rischio. In particolare c'era un momento, giunti al periodo di "Apocalypse Now", in cui Coppola (mi pare fosse proprio lui e non un suo collaboratore) affermava che durante le riprese del film, se c'era una strada più sicura da prendere per girare una scena e una più rischiosa, lui non aveva dubbi, la strada più rischiosa sarebbe stata sicuramente quella giusta.
Questo ci tenevo a scriverlo perché è importante, secondo me, per inquadrare chi è l'autore di "Megalopolis": di fatto un amante dell'azzardo, un pioniere, un megalomane (volendo giocare un po' con le parole).
Epperò pure un amante del cinema, dell'arte, dei sogni: perché altrimenti non perdi venticinque anni dietro un progetto, che alla fine, a ottant'anni suonati, decidi di realizzare - in parte, o in gran parte - di tasca tua, vendendo vigneti di proprietà e racimolando circa centoventi milioni di dollari.
Insomma, "Megalopolis" l'ha fatto innanzitutto per lui, Coppola, e solo dopo per noi.
Ed è un dettaglio non da poco, questo, che di fronte alla maestosità del grande schermo emerge prepotentemente. Purtroppo (per noi).

Allora ci sono due vie per mettersi ad analizzare e a discutere di questa opera mastodontica, miracolosa, visionaria. Una è quella di lodare l'impegno, l'ambizione, la determinazione di un'anima che va letteralmente controcorrente, contro il sistema, contro qualunque ostacolo pur raggiungere il proprio obiettivo. E se prendiamo questa di strada, "Megalopolis" è un dono divino, una meraviglia, l'alieno da ammirare, da salvare e da proteggere ad ogni costo. Ma se prendiamo l'altra di via, ovvero quella oggettiva, critica, volta ad immergersi nell'esecuzione della pellicola, nei tecnicismi e nelle questioni sollevate all'interno, beh, in quel caso, forse, la situazione si capovolge completamente.
Perché i venticinque anni di attesa e la libertà artistica - sempre sia lodata, è - di cui Coppola ha potuto godere è stata senza dubbio un'arma a doppio taglio. "Megalopolis", infatti, è una storia che piomba al cinema con le rughe addosso, a prescindere dagli effetti speciali (così e così) e dallo slancio (e il pensiero) futuristico (e ambientalista come ottimista) di cui vuol farsi carico. Un futuro che peraltro guarda al passato, all'antica Roma, immaginando questa New York vittima del capitalismo - ribattezzata New Rome - che deve lottare per salvarsi dal possibile e quasi certo fallimento, simile, appunto, a quello toccato all'Impero Romano. La sete di potere dei ricchi, rischia di portare al collasso l'intera nazione e l'utopia di un singolo - l'architetto Cesar Catilina, interpretato da Adam Driver - potrebbe rappresentare l'unica speranza di futuro sostenibile ed equo, per il mondo e per la civiltà. Ad opporsi alla sua demolizione e ricostruzione ecologista (che vedrebbe il Megalon far da padrone, un materiale prodigioso la cui scoperta gli ha permesso di vincere il Nobel), c'è il sindaco Franklyn Cicero di Giancarlo Esposito, il quale in maniera decisamente pratica, preferisce avallare la costruzione di un Casino e governare attraverso mezzi collaudati e conosciuti. Uno scontro prossimo a peggiorare, quando la figlia di Franklyn, la Julia di Nathalie Emmanuel, comincerà a frequentare Cesar e si innamorerà di lui. Mentre in parallelo, l'Hamilton Crassus di Jon Voight e il Clodio Pulcher di Shia LaBeouf, tesseranno intrighi di potere (sfociando nel politico e nel populismo trampiano), plagiati entrambi dalla sensualissima e bellissima (e bravissima) arrampicatrice sociale Wow Platinum, di Aubrey Plaza.

Megalopolis Coppola

Ecco, se state pensando "Dio, ma che disordine!", sappiate che nella pratica le cose vanno anche peggio. Il primo a fare fatica nella gestione della trama e delle sottotrame della pellicola è proprio Coppola, in fondo. Lo fa, probabilmente, per via di una sceneggiatura da rivedere, o di un budget non all'altezza (c'è del girato che non è stato montato, forse?). Tuttavia, è innegabile rendersi conto di come in certi passaggi, i contrasti vengano risolti o troppo facilmente, o in modo assai confuso e imbarazzante (vedi l'arco narrativo dedicato al personaggio di Dustin Hoffman e la scena della statua). Ci sono momenti in cui la storia se la prende comoda, comodissima anzi, e momenti in cui sembra dare alcune soluzioni per scontate, correndo velocemente per mettere da parte un conflitto (secondario) e virare a quello successivo, per cui interrogativi, voragini di sceneggiatura, domande, assalgono la mente, non trovando per forza spiegazioni logiche o risposte. Un comportamento che rende "Megalopolis" figlio legittimo delle sue difficoltà di gestazione e della personalità del suo autore, per carità, ma pure goffo, kitsch e raffazzonato, sia a livello visivo che di scrittura. Una carenza che non viene bilanciata nemmeno dall'aspetto viscerale della storia, incapace di catturare lo spettatore emotivamente, permettendogli di vivere da vicino l'epopea shakespeariana intorno alla quale Coppola ruota e si aggrappa con costanza.

Eccessivo (e retorico) filosoficamente, verboso, anacronistico. Paradossalmente vittima di quel concetto fondamentale e che gli sta tanto a cuore: il tempo. Quel tempo che il Cesar di Driver riesce addirittura a fermare a comando, quel tempo che nel film mescola passato e futuro, pur fissandosi col (e nel) presente. Quel tempo che Coppola ci ricorda di non perdere (per cambiare il mondo, per salvarlo) e che lui stesso ha perso dietro a un'ossessione che venticinque anni dopo si è trasformata in utopia (sì, come quella di Cesar). L'utopia di chi, con tutta la buona volontà del mondo, era convinto di poter rompere ancora le regole, di spingere il cinema ulteriormente in avanti, rivoluzionandolo, o comunque provandoci.
E ci ha provato, alla fine, quindi tanto di cappello. E, magari, andrebbe pure difeso a spada tratta, non tanto per il risultato (sarebbe impossibile), ma per lo smisurato valore che rappresenta la sua crociata oggi. Però, come capita a chi rischia, a chi è testardo, a chi è folle, stavolta prendere la via più rischiosa si è rivelato un atto fatale. Stavolta c'è da fare i conti col fallimento. Un fallimento dal sapore romantico, fiabesco, commovente, dolce, se volete, ma pur sempre un fallimento.

Trailer:

Commenti

  1. Grande delusione, inutile girarci intorno. Un film troppo sentito, talmente troppo atteso (quasi 50 anni) da risultare anacronistico. Pessimo anche tecnicamente, con una CGI di basso livello. Che comunque merita rispetto, quello che si deve a prescindere a un gigante del cinema.

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    1. Vero, però contento per lui, alla fine, che ha realizzato un sogno!

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