È un film sporco "Piccole Cose Come Queste".
Ed è sporco in senso letterale, proprio: perché il Bill Furlong di Cillian Murphy per guadagnarsi da vivere fa il carbonaio e, dopo aver consegnato sacchi di carbone per tutto il giorno, la sera, quando torna a casa, lo vediamo correre subito in bagno a lavarsi le mani, a strofinarsele energicamente con una spazzola.
Ma sporco lo è anche sotto l'aspetto metaforico: perché racconta la storia (vera e ambientata nel 1895) di questo convento irlandese - una Casa Magdalena - noto per concedere asilo a ragazze madri e orfane, in cui avvengono spesso degli strani episodi (di violenza) di fronte ai quali la gente del paese circostante - per paura, convenienza, o interesse - preferisce girare la testa e non mettere bocca.
Ma sporco lo è anche sotto l'aspetto metaforico: perché racconta la storia (vera e ambientata nel 1895) di questo convento irlandese - una Casa Magdalena - noto per concedere asilo a ragazze madri e orfane, in cui avvengono spesso degli strani episodi (di violenza) di fronte ai quali la gente del paese circostante - per paura, convenienza, o interesse - preferisce girare la testa e non mettere bocca.
Uno sporco, allora, che il regista Tim Mielants sceglie di mantenere pure da un punto di vista formale, narrativo, avvalendosi di una fotografia dai toni molto scuri - in cui a prevalere, di frequente, sono le ombre, le luci notturne, calde (dei lampioni, del fuoco) - e di una sceneggiatura (scritta da Enda Walsh) che non fa altro che seminare e alimentare dubbi, paranoie, incertezze, palesare un'omertà insindacabile, ritardando (e celando) quella che dovrebbe essere l'esposizione ai fatti, alla verità: la quale ci verrà svelata solamente dalle scritte (terribili) che appariranno prima dei titoli di coda. Ciò che deve interessarci, infatti, non è vedere (il crimine, il delitto), ma sapere (intuire). Sapere (e intuire) che dietro certi comportamenti, atteggiamenti e silenzi (e bugie) si nasconde qualcosa di sinistro, di sbagliato, di fronte alla quale per tendenza, vizio e salvaguardia, l'essere umano tende il più delle volte a far finta di niente, a sorvolare: e la prima a consigliare a Bill di non farsi coinvolgere da situazioni che non lo riguardano è proprio la moglie, che a letto, vedendolo turbato, gli dice che "se non si vogliono avere problemi, a volte, è meglio imparare a ignorare certe cose!". Consiglio diverso, ma molto, molto simile a quello che riceve dalla proprietaria del locale in cui va a bere e a mangiare con i suoi colleghi, la quale lo intima in privato a farsi gli affari suoi perché "esiste gente che ha il potere di rovinarti la vita!". E quella gente, in questo caso, sono le suore, la Chiesa: proprietaria del convento in cui Bill ha notato una giovane ragazza provare a fuggire, chiedendo aiuto, nonché degli istituti scolastici in cui dovrebbero andare presto a studiare le sue tre figlie, e dove entrare "non è poi così scontato, per via delle tante richieste!". Cosa fare, dunque?
Ed è la domanda (pesantissima) che Bill si pone per l'intera durata della pellicola, caricandosela sulle spalle (sue e nostre) come i sacchi di carbone che consegna quotidianamente e che lo costringono a piegare la schiena, a faticare, a imbrattarsi viso, mani, vestiti. Similitudine che non passa certo inosservata, sulla quale Mielants ripropone l'attenzione non appena la posta in gioco si alza, aumenta, sia per quel che riguarda la sopportazione emotiva di Bill (memore di un'infanzia per niente felice), sia per il pericolo che quel non agire, chiudendo occhi e orecchie, potrebbe comportare. Un crescendo di tensione, di rabbia e nervosismo che si ripercuote inevitabilmente su di noi spettatori, che rischiamo di rimanere spazientiti dal ritmo dilatato e dalle indecisioni di un protagonista che, oggettivamente, è chiamato a compiere una scelta assai più grande di lui, e quindi semplice (per noi) solo in apparenza. Perché non bisogna mai dimenticare il contesto, l'epoca, la mentalità diffusa, legata a una vicenda che verrà scoperchiata definitivamente intorno alla fine degli anni '90, con uno scandalo che coinvolgerà addirittura il governo irlandese e le sue forze di polizia (informate e complici): e che non appare poi molto diverso e distante, dal più recente e noto me too, esploso nel mondo dello spettacolo.
La scomodità grandissima, e a tratti insostenibile, di "Piccole Cose Come Queste" finisce per assorbire anche noi, così. Che con Murphy - sempre impeccabile, intenso, bravissimo - ci entriamo in connessione e in empatia, e vorremmo spingerlo quasi di forza verso la pace (mentale) e la liberazione: nonostante al suo posto non sapremmo come, dove e nemmeno a chi aggrapparci. Fotografia di un passato che somiglia, quindi, spaventosamente al presente, al netto dei passi avanti evidenti e dei spiragli su un futuro che, si spera, possa rivelarsi meno sporco e meno brutale.
Ma questo dipenderà esclusivamente da piccole cose.
Come, ad esempio, il nostro volere.
Ma questo dipenderà esclusivamente da piccole cose.
Come, ad esempio, il nostro volere.
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