The Substance - La Recensione

The Substance Poster Ita

Quando la Elizabeth di Demi Moore cede alle sue fragilità e alle richieste (severissime) dello show business, accettando di assumere "la sostanza" del titolo per dar vita a una versione migliore di lei (più giovane, più affamata, più bella), ciò che succede in scena richiama subito alla mente il cinema di David Cronenberg, di John Carpenter. Assistiamo, infatti, ad una specie di parto cesareo al contrario - dalla schiena - con la Sue di Margaret Qualley che esce fuori dalla sua schiena alla stregua di una neonata, ma con un corpo, dei lineamenti, delle curve, una perfezione, insomma, tipica di una ragazza ventenne. In quel momento, le immagini (e i suoni) che passano sullo schermo sono a dir poco disturbanti e non basta il nudo integrale - che trasuda una sessualità oggettivamente disarmante - di Qualley a scacciare via lo sconvolgimento, il disgusto e l'attorcigliamento che lo stomaco - il mio, almeno - potrebbe subire.

Ma sono le dichiarazioni esplicite di un'autrice (regista e sceneggiatrice), Coralie Fargeat, che non intende perdere tempo, mettendo nero su bianco i suoi intenti e lasciando che sia lo spettatore a decidere se continuare, oppure fermarsi. Che poi, sostanzialmente, è la medesima scelta che dovrà compiere Elizabeth nel corso della pellicola, combattendo contro l'altra sé stessa - affamata di vita, popolarità, amore della gente - che non intende rispettare le regole del trattamento, rubando tempo e salute alla sua metà più agé. In quello che rapidamente si trasforma, così, in uno degli horror maggiormente intriganti, originali e brillanti degli ultimi anni, perché attraverso una storia a dir poco semplice - quella di una diva del cinema e (ora) della televisione che superati i cinquant'anni sta per essere abbandonata e sostituita, perché giudicata troppo vecchia per lo star system - riesce a raccontare e a mettere a fuoco uno dei problemi che sta massacrando la società moderna, ovvero la ricerca di una perfezione costante, eterea (eterna) e quindi impossibile. Una pressione che possiamo percepire (e notare) quotidianamente scrollando sui social, leggendo i giornali, guardando un programma, o persino camminando per strada. Ingannati da filtri, chirurgia estetica, trattamenti miracolosi e qualsiasi cosa possa promettere di farci restare in equilibrio, rispondendo a canoni di bellezza che staranno in cielo, forse, ma non su questa terra.

The Substance Demi Moore

E c'è un non so che di ironico (di ferocemente satirico), allora, a vedere proprio Moore cedere all'offerta del diavolo, lei che non ha mai negato di averlo fatto davvero qualche ritocchino e che qui, nonostante stia in formissima per la sua età - il suo personaggio conduce un programma di ginnastica mattutino - non riesce a fare a meno di guardarsi allo specchio e osservare la sua carne perdere di consistenza. Un'ironia che però non è casuale, e che Fargeat sparge in lungo e in largo dentro il suo film, persino in quelle scene dove ad emergere è il raccapriccio, lo schifo, anticipatori spesso di esplosioni splatter. Ci sono tanti riferimenti e citazioni sparse, nel suo "The Substance", omaggi (pensati e mai gratuiti) a un genere a cui si vuole evidentemente guardare ed agganciarsi, una composizione ammirevole per come viene assemblata e sprigionata nella storia.
Tant'è che al netto di certi istanti in cui veramente potresti pentirti di aver mangiato prima di entrare in sala, o che non sai dove poggiare lo sguardo, per evitare certe inquadrature - accompagnate da effetti sonori disturbanti (utilizzati tantissimo e benissimo per amplificare lo spavento e i turbamenti) - la pellicola raramente concede di poterle staccare gli occhi di dosso. E pure quando Elizabeth e Sue compiono delle azioni (apparentemente) stupide, che potrebbero mettere in discussione la solidità della sceneggiatura, Fargeat riesce comunque a trovare un modo per difendersi in calcio d'angolo, smussando dubbi e potenziali incongruenze. Costruendo un finale impeccabile nella metafora, nei toni e per le premesse invocate. 

Così, se con il precedente "Revenge" aveva dimostrato di saper fare il suo mestiere, spingendo molto sul piano visivo e assai meno su un canovaccio che era piuttosto prevedibile, adesso a venir fuori è un'ambizione, una sfrontatezza, una sicurezza che la trascina con merito nella lista di quei nomi da tenere d'occhio, di fronte ai quali è imperativo concedere attenzioni ogni qual volta si rifanno vivi con un progetto. Un premio non da poco, ma pericolosissimo da gestire, come "la sostanza" di cui ci parla, del resto. Ma in attesa di conoscere gli effetti futuri di questo exploit, noi ci armiamo di carta e penna e, intanto, segniamo.

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