Guai a lasciarsi ingannare da pregiudizi dettati prevalentemente dal titolo (o dalle immagini del trailer), perché "Il Giorno Dell'Incontro" - in originale "Day of the Fight" - non è affatto un film sul pugilato. E non è nemmeno paragonabile a una di quelle storie - piuttosto prevedibili - dove una stella promettente del ring, o un campione del mondo in carica, subisce una tragedia che lo porta a ricominciare da zero il suo percorso, inseguendo un riscatto. Anche se, per certi versi, è proprio da questo canovaccio che prende spunto l'opera scritta e diretta da Jack Huston.
Con sostanziali differenze, però.
E, in effetti, è spiazzante rendersi conto che ogni previsione, ogni nostra certezza, venga spazzata via in men che non si dica non appena il Mikey di Michael Pitt - in una delle sue migliori interpretazioni - riempie al volo un borsone e comincia a camminare per la sua Brooklyn armato di walkman e di cuffie in testa, bussando alla porta o comunque affacciandosi nella routine delle persone più importanti della sua vita. Lo fa perché quella stessa sera avrà un incontro decisivo al Madison Square Garden, lo fa perché vuole mostrare la sua riconoscenza a chi gli è stato vicino nei momenti più difficili, lo fa perché ha dei non-detti da risolvere e che deve togliersi dalla coscienza, per il bisogno di ricucire un rapporto con suo padre - un emozionante Joe Pesci, qui anche produttore - ma soprattutto lo fa perché è il giorno ideale - e magari l'ultimo - per poterlo fare. Alcuni flashback, infatti, ci riportano indietro di qualche anno, mostrandoci Mikey quando era ancora "Irish Mike", il pugile campione del mondo dei pesi medi, arrogante e ribelle, che guidando in stato di ebbrezza ha causato un brutto incidente provocando la morte di un bambino. Da li, la discesa agli inferi che gli ha fatto perdere tutto: la donna che ama(va), la figlia, il successo, la libertà. Per non parlare dei danni fisici subiti, che gli hanno proibito di tornare a combattere.
Gli ingredienti per ricalcare lo stereotipo dell'atleta che col sacrificio, il sudore e la redenzione, torna al successo e si riprende in mano la sua vita, non mancavano, allora, a Huston. Ma "II Giorno Dell'Incontro" non è e non vuole essere uno di quei film-alla-Rocky o alla-Southpaw: in cui, ad un certo punto, apparirà quella scena in cui il protagonista legato a un camion con una corda, proverà a spostarlo sotto il sole cocente e con l'asfalto che gli consuma la suola delle scarpe. Da "Rocky', semmai, cerca di recuperare le atmosfere, quel senso d'appartenenza a una working class di remota memoria, dove ogni conquista agguantata è sinonimo di duro lavoro, abnegazione, sofferenze. E il bianco e nero dominante che non abbandona mai lo schermo - salvo in qualche ricordo, in cui un tiepido rosso fa capolino - aiuta tantissimo la pellicola a costruire il mood necessario, a caratterizzarla come una storia d'altri tempi: e non solo per via dell'ambientazione anni '80, ma per respiro, impostazione. Una storia che sconfina spesso nel genere indie (e fa strano scriverlo) e che, per questo, è capace spesso di scaldare, commuovere, senza bisogno di tenere in tasca spettacolarizzazioni, o chissà quale colpo di scena: e questo perché è umana, universale.
Del resto sappiamo già tutti, intorno al primo quarto d'ora, dov'è che si andrà a parare. Eppure non fa differenza, nel senso che ciò non rovina affatto il magnetismo e le emozioni che un abbraccio, un pranzo, o uno sguardo in più rivolto a Mikey, riescono a suscitare su di noi. Lui che non vuole esser ricordato per un cattivo, per un mostro, lui che sa perfettamente che il mondo non si dimenticherà mai del suo passato, e che da settimane si reca al marciapiede adiacente alla scuola della figlia adolescente, per non perdere l'occasione di salutarla con un wave della mano all'entrata. Il massimo che sente di meritare e di potersi permettere.
Lui che da buono non si è comportato, forse, ma che sicuramente avrebbe voluto. Vittima di un'infanzia che ancora lo tormenta e che ha imparato a malapena a sopportare. E pure se ciò non basterà al mondo intero per perdonargli l'atrocità commessa, il fatto che esiste un mondo più piccolo disposto a portarlo sempre nel cuore vale comunque una vittoria. Che poi è la sola che conta, alla fine.
Trailer:
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