Gli bastano i primi dieci minuti a "M: Il Figlio Del Secolo" per fare una disamina su come nasce, prospera e arriva a prendere il potere una corrente politica come quella del fascismo. Per mettere in evidenza quanto siano fondamentali per lei fattori come caos, rabbia e disperazione di un popolo. E come, a quel punto, persino un movimento - o un partito, o quello che volete - costituto da gente ignorante, violenta e impresentabile - il Benito Mussolini di Luca Marinelli si riferisce a loro chiamandoli spesso con il termine Cani - comincia ad essere visto come un'opportunità, come soluzione a tutti i mali.
Non solo da parte del popolo.
Non solo da parte del popolo.
Già, perché la serie televisiva diretta da Joe Wright - che si diverte a fare il verso ad "House Of Cards", facendo parlare direttamente in macchina (e a noi spettatori) il suo stratega-protagonista - racconta non solo di un popolo esasperato dalle scorie della Prima Guerra Mondiale appena finita - e quindi alla ricerca di una vera guida, di un leader - ma pure di una Politica che in quel momento, a prescindere dai tentativi di mettere su un Governo (socialista) all'altezza (con Giolitti prima e Facta poi), non era in grado di risolvere alcun problema, e men che meno di opporsi all'irruenza e alla fame di potere dell'estrema destra che stava nascendo. E c'è un momento terribile da vivere (come spettatore, ma soprattutto come cittadino italiano) a sostegno di questa tesi, ed è quello in cui Mussolini finalmente si decide ad ammettere in Parlamento la sua responsabilità nei confronti del delitto Matteotti, appellandosi a gran voce all'Articolo 47 dello Statuto Albertino. Li la sua carriera politica è appesa a un filo, basterebbe che qualcuno dei presenti aprisse bocca o alzasse un dito per porre fine alla sua ascesa, eppure nessuno trova il coraggio, l'impulso, o il senso del dovere (la responsabilità) utile a fare la cosa giusta. Consegnandogli, di fatto, paese e pieni poteri.
Stiamo parlando della scena emotivamente più potente e decisiva di una serie che è a dir poco poderosa. Una scena all'interno della quale il disagio che si prova da spettatori, raggiunge probabilmente l'apice, e che, in qualche modo, va a stringere un nodo capace di unire quel periodo all'attualità che stiamo vivendo. Perché "M: Il Figlio Del Secolo" non è soltanto la serie tv su Mussolini, né tantomeno la serie tv sull'avvento fascista in Italia. Più di qualunque cosa "M: Il Figlio Del Secolo" è la serie tv che ci mette di fronte a una Storia che si sta ripetendo, che spiega benissimo cosa sta succedendo oggi e perché, e lo fa scavando nei meandri di una memoria che alcuni di noi hanno dimenticato, alcuni hanno fanno finta di dimenticare e altri ancora non hanno mai vissuto, assorbito (e nemmeno studiato). L'importanza cruciale dell'opera di Antonio Scurati e, di conseguenza, del suo adattamento filmico, allora, diventa quella di mostrare, di comunicare, non solo a noi italiani, ma al mondo intero, perché politicamente si sta andando verso una direzione ben precisa, di chi sono le colpe e a quali errori dobbiamo far fronte per tentare di correre ai ripari.
E la storia del fascismo, di come si è preso l'Italia - di come l'Italia gli ha permesso di farsi prendere - è fondamentale a ricordarci che ciò che è stato non è morto e sepolto. Che pensarlo sarebbe un errore madornale. E se ci facciamo caso, se facciamo attenzione alle tattiche di Mussolini (alla scelta di certe parole), all'atteggiamento dei suoi uomini, alle menzogne con le quali cercano di mitigare le accuse di violenza che gli vengono rivolte, di occultare le ingiustizie commesse e di convincere il volere dei cittadini, ci accorgiamo che dentro c'è molto della politica (mondiale) recente. C'è una scuola, un linguaggio, un disegno. Focus esplicito sul quale Wright sente il bisogno di mettere l'accento, così come vuol metterlo nello schivare la trappola di portare in scena un Mussolini bidimensionale, costruito per fare il villain della storia. Quello di Marinelli (che è spaventoso), infatti, è un Mussolini assai più profondo, dall'animo quasi shakespeariano, forte caratterialmente, come anche vulnerabile e bisognoso di affetto (di sesso), di attenzioni, di rassicurazioni (il suo rapporto con le donne, con la Margherita Sarfatti di Barbara Chichiarelli è emblematico). Un Mussolini che pecca e che bluffa di arroganza, ma che nel frattempo nasconde paure, insicurezze, timori. Consapevole di avere un esercito limitato (letteralmente e metaforicamente) che lo fa vivere sul filo, tra il successo e il fallimento, e che solo grazie all'inconsistenza di degni avversari (politici), compresa una Monarchia ridicola (e di una Chiesa arruffona), comincerà a prendere fiducia e a piacersi, credendo cosi tanto (troppo) in sé stesso e arrivando a parlare pure con il suo stesso busto.
Non c'è che dire, è affascinante vedere la sua evoluzione (umana, filosofica, morale). Respirare quell'aria di beffarda rivoluzione che cerca di studiare e di costruire in stanze (non) del potere illuminate sempre con luce fioca e quasi sovrastata dal buio, dalle ombre: evocando quell'atmosfera di tragedia e di sconforto a cui sappiamo di dover andare presto incontro. Copre appena sei anni di percorso questa prima stagione - dal 1919 al 1925 - eppure sono già sufficienti a scuotere, ad influenzare, a sconvolgere visioni e ragionamenti su una politica che guai a sottovalutare, o peggio ancora a voltargli le spalle. Perché se è vero che per fare un passo avanti ci vogliono secoli, è altrettanto vero che a farne due indietro basta un attimo. E poi chissà dov'è che si va finire.
Trailer:
La "cosa" più bella vista all'ultima Mostra di Venezia. Formalmente è una serie tv, ma in realtà è cinema allo stato puro. Marinelli impressionante, anche se a impressionare di più è vedere come un uomo mediocre e senza nessuna qualità stava per prendersi il mondo intero. Con la complicità di Istituzioni e Poteri Forti. Un monito per il presente.
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