In un momento storico in cui i produttori temono - e quindi rifiutano quasi a priori - le idee originali e fanno a gara per rovistare nel cassetto dei ricordi e riportare in auge ciò che ha funzionato - senza chiedersi il perché - in passato, un revival di "Quel Pazzo Venerdì" dovevamo praticamente aspettarcelo.
E tra la soluzione di mettere in scena un reboot - rinunciando, quindi, all'effetto nostalgia - e quella di fare un sequel - richiamando il cast originale, ovviamente - si è optato per la seconda ipotesi, assicurandosi così la garanzia di un pubblico che - come me, per esempio - un salto al cinema per rivangare i tempi passati, vuoi per sfuggire al caldo, magari, lo avrebbe fatto volentieri.
E, infatti, nonostante ci avessi pensato a disertare quest'operazione, c'è stato qualcosa, alla fine, che mi ha spinto a ripensarci, ad assecondarla - e no, non mi riferisco alla cotta adolescenziale che avevo per Lindsay Lohan - pur sapendo benissimo davanti a cosa mi sarei trovato. Perché, in fondo, non ci voleva un luminare per prevedere che "Quel Pazzo Venerdì, Sempre Più Pazzo" sarebbe stato un secondo capitolo orientato a ricalcare spudoratamente l'idea originale, senza la voglia, né la pretesa di compiere sforzo alcuno. L'unica componente aggiuntiva, è l'inserimento di due nipoti adolescenti che servono a rinnovare un po' il format, a dare spessore alle protagoniste ed ad evitare una copia carbone che, altrimenti, sarebbe stata totale. Tuttavia, a dominare, all'inizio, è proprio la pigrizia, la prevedibilità, quella di un canovaccio che lo spettatore conosce a memoria e che non si è provato neppure a colorare, o ad arricchire un minimo: forse, per paura di far storcere il naso a qualche fan sfegatato (esistono?), o di far chissà quali danni(!). In sostanza, si precipita in quella situazione in cui mentre la storia procede, lo spettatore esclama: "Ah, ecco, ora succede questo!". E poi: "Ora è il turno di quest'altro!". E non c'è margine di errore, va tutto secondo i piani, restituendo l'impressione di quelle Domeniche Disney che alla fine degli anni '90 occupavano - con grande entusiasmo da parte di me bambino - il palinsesto di Rai 2.
Chiunque fosse alla ricerca di guizzi, allora, è necessario si accontenti di fare dei compromessi, aggrappandosi alla bravura indiscutibile di una Jamie Lee Curtis che si mette nuovamente in gioco, interpretando un'adolescente in piena fase di ribellione, intrappolata nel corpo di una nonna. Ed è lei, in sostanza, a tenere banco, a far sì che la baracca resti in piedi, generando sketch esilaranti, battute e mimiche facciali irresistibili. Per carità, Lindsay Lohan, fa il suo e lo fa senza sbavature, ma non è in grado di rubare centimetri a una controparte che la scena è abituata a prendersela e a mangiarsela in un sol boccone. Ed è fondamentale questo carisma, se non altro per sopperire ai primi due atti in cui, appunto, la trama risulta abbastanza telefonata e guidata dal pilota automatico - in breve: la Lohan deve risposarsi e sua figlia e la figlia del suo compagno non vanno d'accordo, anche perché in ballo c'è l'interrogativo su dove andranno a vivere, se in California o a Londra - e per trovare una scrittura migliore, più stimolante ed efficace, c'è bisogno di arrivare al terzo di atto che - contro ogni pronostico, ormai - funziona così bene da riuscire, probabilmente, a (ri)conquistare l'affetto dello spettatore, salvando capra e cavoli.
Rendendo, dunque, un'operazione sfacciatamente commerciale, meno superflua del previsto e vincendo quindi una scommessa sulla quale era più facile immaginarsi una sconfitta. Invece, da "Quel Pazzo Venerdì, Sempre Più Pazzo" si esce con un leggero sorriso stampato in viso, sia se si faceva parte di quella schiera che conosceva a menadito l'originale e sia se si passava al cinema solo per distrarsi un paio d'ore. Che voglio dire, in assenza delle Domeniche Disney di una volta, non ci si può mica lamentare troppo, no?
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