Promised Land - La Recensione

L’esordio alla regia di Matt Damon viene provvisoriamente rinviato e si tramuta nell'ennesima collaborazione tra l’attore e il regista Gus Van Sant.
Nato dal soggetto di Dave Eggers, e sceneggiato dallo stesso Damon assieme al co-protagonista John Krasinski, “Promised Land” si prende la responsabilità di mettere alla berlina l’abilità delle compagnie energetiche nel raggirare, con copioni ben studiati e promesse - nemmeno troppo cospicue - di denaro, poveri abitanti di fattorie colpiti profondamente dalla recente crisi economica. L’obiettivo è ricevere il consenso firmato per trivellare i loro campi e ricavare gas naturale mediante un processo che, a differenza di quanto detto, avvelena i terreni annientando raccolti e uccidendo il bestiame.

La priorità di denunciare un inganno, e ancor di più un danno compiuto dall'uomo sulla natura, fa di "Promised Land" un film profondamente ambientalista. Damon e Van Sant infatti, pur concentrandosi su una tematica specifica - e non perdendola mai di vista - con le parole arrivano fino ad estendere il loro discorso sull'ambiente tutto, sentenziando una colpa collettiva da attribuire, letteralmente, ad un mondo divenuto ormai menefreghista a riguardo. La volontà di scuotere e sensibilizzare lo spettatore su una questione così delicata e di grande interesse diventa allora talmente primaria da sottrarre superficie a quello che sarebbe dovuto essere il conflitto centrale e fulcro della narrazione, e cioè la lotta con la propria coscienza vissuta dal protagonista Steve (Matt Damon), il quale - diversamente dalla sua cinica controparte impersonata da Frances McDormand - continua a soffrire le bugie del suo lavoro e a mentire a sé stesso e agli altri per non sentirsi in colpa.

Per quanto piuttosto bene quindi il personaggio di Krasinski incarni invece l'opposizione ambientalista - ostile al potere delle major - a interpretare materialmente questo ruolo, a conti fatti, non è altro che il film stesso, raggruppato in tutta la sua interezza. Le parti prese dalla pellicola sono unidirezionali e ogni diatriba, ogni espressione e ogni colpo di scena è messo appositamente a voler rafforzare una parzialità tangibile fin dal primo istante, accentuata ancora di più dalle volte che il personaggio di Matt Damon ripete a sé stesso la frase: non sono un uomo cattivo, ignaro di essere pedina di un gioco senza regole dove ogni mossa o contendente può rivelarsi bluff o strategia abilmente architettata.

Quello girato da Van Sant è un lavoro serio, prezioso, che non lascia assolutamente indifferenti e smaschera un teatrino al quale spesso gente innocente, per mancanza di informazione o bisogno di denaro semplice e veloce, si lascia rapidamente abbindolare. Per questo motivo anche se "Promised Land" dimette dalle sue priorità un'aderenza che poteva restituirgli una natura più filmica rimane comunque impossibile da criticare o non apprezzare, considerando il suo come un tentativo di proporsi trattato elevato e possente. Il fine giustifica i mezzi insomma, per cui a Gus Van Sant gli perdoniamo,volentieri e senza troppe riserve, persino un finale facilone e scontato, preceduto da ricorrenti cadute retoriche e da alcune sottolineature, in più di un'occasione, forse sorvolabili.

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